Nei prossimi mesi, usciti dalla pandemia e lasciato alle spalle il drammatico periodo di questi mesi, ci sarà l’intera filiera alimentare da ricostruire. Ce ne parla Tommaso Martini di Slow Food Valle dell’Adige Alto Garda.

Per la filiera alimentare i prossimi mesi saranno cruciali. I clienti dovranno riscoprire il piacere e la sicurezza di frequentare i ristoranti e avere i soldi in tasca per farlo. I ristoratori riprenderanno la propria attività leccandosi, insieme ai propri collaboratori, le ferite psicologiche, economiche e finanziarie. I piccoli produttori riprenderanno a commercializzare le loro produzioni nel canale dell’horeca. Artigiani, consulenti, agenti riprenderanno il loro lavoro e tutto tornerà a funzionare, come prima.

Eppure anche prima qualcosa non funzionava, soprattutto nelle località turistiche di montagna. Questa filiera era già interrotta da molti anni, da quanto la ristorazione ha cominciato a guardare a grossisti e gdo e non al proprio territorio per rifornire le proprie dispense. La pandemia può essere un’occasione per ripensare questo rapporto come elemento fondamentale della prospettiva di un turismo sostenibile. Turismo sostenibile oggi si riferisce principalmente alla sostenibilità dell’offerta e, in territorio montano, si declina infatti in due aspetti: quello della mobilità e quello del rapporto con le produzioni del territorio.

I pascoli della Fattoria Lenzi a Lavarone, sugli Altipiani Cimbri. Il titolare Diego Lenzi è tra i fondatori di una comunità che sta sviluppando un Mercato delle Terre Alte nelle piazze dei paesi degli altipiani.
[ph Sabrina Bortolotti]

Entrambi questi elementi hanno uno strettissimo legame con il paesaggio, paesaggio inteso come uno dei valori principali del turismo e di una destinazione. Il trasporto, che merita un discorso a sé, ha un ruolo perché rischia di aggiungere al paesaggio degli elementi che possono deturparlo: infrastrutture, inquinamento. Per questo è fondamentale ragionare in un’ottica di mobilità dolce, che valorizzi le greenway, i sistemi ciclabili, le ferrovie, le funivie così come son intese nella vicina Svizzera.

Ma il turismo sostenibile ha a che fare soprattutto con la filiera agroalimentare. Il sistema della ristorazione è una componente importante dell’accoglienza, non solo in riferimento al turismo enogastronomico ma al turismo in senso lato. Si tende però a pensare che sia sufficiente offrire una cucina tipica per fare un’accoglienza di qualità, sostenibile e in grado di comunicare il territorio. Molto spesso, invece, gli ingredienti utilizzati per cucinare il piatto tipico provengono da luoghi più lontani rispetto a quelli da cui arriva il turista stesso. Tramite grossisti o la rete della gdo la materia prima arriva dalla pianura, dall’estero o è il frutto delle delocalizzazioni del mondo globale. Ma il turismo non può essere delocalizzato, in nessuna delle sue componenti.  Questo tipo di approvvigionamento della materia prima comporta dei danni su vari piani. Il più evidente è quello economico al territorio ma il più subdolo riguarda l’intero sistema e ha colpito proprio il paesaggio. 

Nella valle di Terragnolo, in Trentino, gli abitanti locali hanno riscoperto la coltura del grano saraceno che è diventato elemento distintivo della comunità e di resistenza contro gli abusi al paesaggio.

Storicamente il paesaggio alpino è definito dalle attività agricole e pastorali che hanno strappato i pendii al bosco, costruito i muretti a secco, definito l’immaginario del nostro ambiente anche per il turista. Se manca un patto di territorio in grado di creare un collegamento tra la filiera alimentare e quella del turismo questo paesaggio è a rischio e le vittime non saranno solo le imprese agricole e gli allevamenti ma si impoverirà tutto il tessuto economico – sociale e il paesaggio continuerà a conoscere un inesorabile declino. Anche il turismo ne sarà coinvolto divenendo la destinazione meno attrattiva. Una inversione di tendenza va sostenuta dalle istituzioni e dalle reciproche associazioni di categoria avendo ben chiaro l’obiettivo comune. Altrimenti si rischia che il mondo agricolo sia relegato a mero folklore e utilizzato solo per una rappresentazione quasi caricaturale di un passato perduto e non considerato, invece, un protagonista anche dello sviluppo turistico.

A lavorare per favorire l’incontro tra domanda e offerta all’interno della filiera che rinasce dovranno essere le associazioni di categoria, pronte a sostenere realtà imprenditoriali con esigenze diverse. Da una parte agricoltori e artigiani che da sempre lamentano le difficoltà di gestire anche la componente commerciale delle proprie aziende. Dall’altra struttura ricettive che hanno bisogno di una logistica snella nella gestione di ordini e consegne e di prezzi che possano comunque essere competitivi. Un processo per il quale sarà centrale la formazione e l’informazione.

L’auspicio è che alla ripartenza del turismo si affianchi un patto di filiera, sostenuto anche dalla politica per mezzo degli strumenti che le sono propri come sgravi fiscali e crediti di imposta che timidamente sono già stati proposti in queste settimane. Con il “decreto agosto” è stato introdotto un contributo a fondo perduto per l’acquisto di prodotti di filiere agricole e alimentari italiane. Un primo passo apprezzabile, pur essendo una goccia nell’oceano per affrontare le difficoltà causate dalle chiusure, ma che purtroppo si riferisce genericamente alla filiera italiana. Il Sistema Italia, come ci insegna il turismo, è fatto di una miriade di territori di prossimità in connessione tra loro. Sono questi l’unità minima di riflessione sulle filiere economiche dalle quali bisogna partire per ricostruire.

* in copertina Federico Chierico, fondatore di Paysage à Manger in uno dei campi a 1800 metri di Alpenzu Grande dal 2014 impegnato, insieme a Federico Rial, nella coltivazione e nella valorizzazione del patrimonio varietale tradizionale alpino in Val d’Aosta.