Un viaggio attraverso le nuove tendenze dell’hospitality raccontate da Daniela Colli. Tra slow travel e affordable luxury.

Dal 2009 interpreta con il suo studio COLLIDANIELARCHITETTO nuove idee di ospitalità a partire dal progetto prototipo di VyTa a Roma Termini alle altre location del brand nella capitale, a Milano e a Londra. Da poco inaugurato l’hotel Orazio Palace, un esempio di affordable luxury come ama raccontarlo lei stessa, l’architetto Colli ci parla del futuro dell’hospitality, di lusso democratico e bellezza sostenibile.

In ogni progetto forma e funzione devono andare di pari passo, in equilibrio perfetto, perché la bellezza fine a sé stessa è effimera e la funzione senza bellezza diventa mero tecnicismo.

we. Com’è cambiato il mondo della ricettività? Quali tendenze definiscono il mercato e si vanno imponendo secondo te?

Il mondo dell’ospitalità oggi non può non prendere in considerazione la decelerazione che il comparto del travel sta vivendo, così come la necessità, che sentiamo tutti, di fare esperienze gratificanti e di valore. Vista la complessità del momento, il viaggio acquisisce il valore di un’esperienza fortemente voluta, in cui vogliamo essere pienamente coinvolti; si viaggia meno e ci si aspetta di più da questa esperienza.

Già ora è in corso un’ampia rivalutazione dei valori relativi al tempo libero e dei luoghi, che vede l’aumento dei soggiorni rurali e dei viaggi autentici e responsabili. Sebbene questo orientamento sia stato dettato dalla necessità, penso che il viaggio esperienziale, lo slow travel, che tocca tutto, dal cibo, alla cultura del luogo, alle piccole città, all’arte, si evolverà passando a essere da nicchia che era a necessità, a nuova tendenza.

Si sceglie di rallentare il ritmo e di vivere le destinazioni a un livello più profondo, creando connessioni più autentiche con le persone e le culture locali, in modo da poter godere del viaggio quanto della destinazione, offrendo ai viaggiatori la possibilità di supportare più attività gestite localmente, con un impatto positivo sull’economia e sulla comunità locali. Credo che questa decelerazione influenzerà le tendenze del design e il funzionamento in termini di sostenibilità, semplicità e servizio.

 
VyTa Farnese.

we. In diverse interviste hai sottolineato quanto sia importante nel tuo approccio progettuale l’idea di una bellezza sostenibile, accessibile a tutti. Cosa intendi?

Sono fermamente convinta che la bellezza faccia parte dei nostri bisogni fondamentali, che sia un’esigenza insopprimibile di ogni cultura e di ogni tempo, così come credo che forma e funzione debbano andare di pari passo in ogni progetto, in un equilibrio perfetto, perché la bellezza fine a sé stessa è effimera e la funzione senza bellezza diventa mero tecnicismo.

Il mio approccio al progetto basato sulla bellezza sostenibile ha avuto inizio molti anni fa quando ho realizzato il progetto pilota della catena VyTA a Roma Termini. Erano tempi in cui la ristorazione in luoghi come stazioni e aeroporti era caratterizzata da design anonimo e food di bassa qualità e VyTA per la prima volta offriva un caffè in stazione in un ambiente accogliente, confortevole, curato nei dettagli e nell’illuminazione. La sua bellezza era sostenibile perché a parità di costi dell’offerta i suoi clienti potevano godere di un confort che gli altri competitors non offrivano, questa è stata peraltro la chiave del suo successo.

Uno dei trend che maggiormente condivido in questo settore e che si sta sempre più affermando è il concetto di matrice anglossassone di affordable luxury, non un lusso standard, elitario e irraggiungibile, al contrario una bellezza sostenibile, discreta, intima, fatta di attenzione all’ambiente, al servizio, ai dettagli, di rispetto per le persone, ovvero quello che io definisco un lusso democratico.

L’Orazio Palace è un esempio di affordable luxury, dal momento che aprire un grande albergo alla città e metterlo a disposizione di tutti permette di vivere nuove esperienze che erano fino a oggi destinate a pochi e precluse a molti.

we. Dal tuo ultimo progetto, l’hotel Orazio Palace a Roma, emerge un approccio specifico agli spazi condivisi, su quale idea si basa?

Il progetto si ispira al contesto storico e alle tendenze stilistiche contemporanee, è stato concepito come un luogo di aggregazione e di dialogo con la realtà circostante, con i suoi ritmi e il suo stile di vita, dove l’esperienza umana rappresenta il focus del progetto, grazie all’interazione dinamica degli spazi condivisi, aperti non solo ai clienti dell’hotel ma a tutta la città.

L’Orazio Palace invita gli ospiti a immergersi nell’atmosfera della Capitale e offre ai romani, così abituati alla sua bellezza da rimanerne quasi indifferenti, la riappropriazione di architetture, forme, colori e immagini della bellezza cristallizzata nel tempo della loro città, ma anche un luogo di incontro, di lavoro, di scambio ed esperienze gourmet.

Sono spazi dedicati alla collettività, non a una comunità ristretta ed elitaria, ai quali tutti possono accedere e che nascono dall’idea di creare una condivisione ampia e democratica dell’hotel, un concetto alla base del progetto del committente e da me pienamente condiviso.

Il progetto di qualità è quello che genera un’emozione che resta impressa nella memoria; è immersivo, avvolgente, ti trattiene e ti intrattiene, ti fa vivere una storia.

we. Cosa definisce la qualità di un progetto d’interni nell’ospitalità, quando, secondo te, un progetto è davvero di valore?

In un’era come quella attuale, dove gli individui sono sempre più sovraccarichi di informazioni ed esposti ai contenuti più disparati, il progetto di qualità deve generare un’emozione che resti impressa nella memoria, deve essere immersivo, avvolgente, deve trattenerti e intrattenerti, farti vivere una storia.

Quando si riesce a dare forma a una storia fatta di contaminazioni, in cui l’interior design si fonde con il visual design, l’arte, la tecnologia e i valori del brand allora si regala agli ospiti un’esperienza che non dimenticheranno.

Un altro elemento che ritengo fondamentale è che sia visionario, non legato alle tendenze stereotipate del momento,ma che sia anticipatore di tendenze future, questo genere di progetti, che io definisco “futuribili”, comunicano direttamente con l’anima dei visitatori suscitando emozioni uniche e irripetibili.                                                                                   

we. Diamo uno sguardo al panorama internazionale della ricettività, alle ultime tendenze; che differenze noti fra l’Italia e l’estero?

Ci troviamo sulla soglia di nuovi ruggenti anni ’20 ma, a differenza del secolo scorso, il panorama della ricettività non è un palcoscenico di edonismo ed evasione ma è un mondo pieno di emozioni che incorpora sempre di più la quintessenza della cultura locale.

I progetti non mirano più a risolvere una determinata funzione o a realizzare la decorazione dello spazio, ma poggiano sull’idea dell’involucro come teatro di un’esperienza interattiva, generata dalle persone, dalla cultura e dalla tecnologia, diventando più funzionali e aderenti alla domanda di esperienze sociali del momento.

Vedo all’orizzonte un grande fermento di arti, imprenditorialità e creatività, che sicuramente in alcune parti del mondo genererà spazi di evasione opulenti e ricchi di immagini edonistiche ma che in Europa e soprattutto in Italia, grazie alle nostre radici culturali, daranno luogo a una nuova era di progetti “sinergici”, all’insegna del dialogo e della combinazione innovativa fra discipline differenti nel settore dell’hospitality.

ph. Matteo Piazza.

In apertura il Motta Milano 1928.

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