«Nel mondo post-pandemia oltre il 50% dei viaggi business e più del 30% dei giorni in ufficio spariranno».

Con questa previsione, fatta recentemente alla conferenza The New York Times DealBook, Bill Gates immagina un futuro prossimo in cui il lavoro a distanza si consolida e diventa una prassi e gli incontri di lavoro online sono routine. Se da un lato la diminuzione dei viaggi d’affari può spaventare il mondo del turismo, dall’altro questo cambiamento di stili di vita nasconde delle opportunità concrete per le destinazioni.

La pandemia nel giro di pochi mesi ha sdoganato il concetto di lavoro a distanza e ha reso il termine ‘smart working’ di uso quotidiano. È una vera e propria rivoluzione che sta avvenendo non solo in Italia ma anche in tutti gli altri paesi sviluppati e che vede società come Google, Amazon e Facebook adottare ufficialmente questa modalità di lavoro per decine di migliaia di dipendenti.

Una volta che diventa ‘remoto’ il lavoro non vincola le persone a un posto in particolare – ufficio o casa – ma apre loro interessanti possibilità.

In un recente report sul futuro dei viaggi, Booking.com prevede per i prossimi anni un aumento importante delle workcation, ovvero, vacanze più lunghe che abbinano lavoro e divertimento. Grazie, infatti, alla possibilità di lavorare a distanza, le vacanze possono prolungarsi di una settimana o due, creando benefici al turismo.

Il lavoro a distanza non è certamente un concetto nuovo. Nel 1997 nel libro ‘Digital Nomad’ i due autori, Tsugio Makimoto e David Manners, coniano il termine ‘nomade digitale’, per descrivere chiunque negli anni a venire con un accesso internet e un computer sarebbe stato libero di scegliere di lavorare ovunque nel mondo. E così è stato. Ma ora abbiamo milioni di persone in più che possono puntare a questo stile di vita, non più solo liberi professionisti ma anche dipendenti.

Il lavoro da remoto e il nomadismo digitale sono e saranno tra i trend più importanti del prossimo decennio. I paesi possono attrarre talenti e beneficiare di una sorta di turismo lento da parte di persone disposte a rimanere per un periodo di tempo più lungo, contribuendo a compensare il forte calo delle entrate del turismo leisure.

Spesso, poi, questi lavoratori ‘da remoto’ hanno un potere d’acquisto più alto del turista medio e spendono di più senza causare l’impatto negativo del turismo di massa.

Cosa stanno facendo le destinazioni internazionali

Diverse destinazioni si stanno allontanando dai modelli di turismo tradizionale che si basano su visitatori a breve termine per rivolgersi a smart worker e a nomadi digitali disposti a rimanere per periodi più lunghi. Negli ultimi mesi i governi di alcuni paesi hanno studiato appositi programmi per proporre degli speciali visti che durino di più dei normali permessi turistici e siano destinati a chi è disposto a trasferirsi continuando a lavorare a distanza.

Bermuda ha riaperto le frontiere aeree ai viaggiatori il 1° luglio e in poche settimane ha notato che molti dei turisti arrivati non erano lì solo per uno dei weekend lunghi che l’ente del turismo stava promuovendo, ma rimanevano settimane o addirittura mesi. C’era perfino una buona fetta di persone che non sapeva quando sarebbe ripartita. Da qui è nato, ad agosto, il Work from Bermuda Certificate, destinato sia a chi lavora da remoto che agli studenti universitari. Si tratta di un adattamento di un programma di residenza già esistente e prevede il soggiorno sull’isola fino a un anno, con possibilità di rinnovo. I beneficiari possono entrare e uscire dal paese a loro piacimento. Requisiti necessari sono il possesso di un’assicurazione sanitaria sufficiente o la possibilità di pagare un pacchetto di assistenza direttamente sul posto.

Come Bermuda, altri paesi stanno cercando di attirare lavoratori da remoto per soggiorni a lungo termine, alcuni con rigidi requisiti di reddito, come le Isole Cayman in cui, da ottobre, con il programma The Global Citizen Concierge è possibile rimanere fino a due anni, ma solo se si ha un reddito familiare minimo di 100.000$ per le famiglie single, 150.000$ per le famiglie con 2 componenti e 180.000$ se si hanno uno o più figli a carico.

Anche altri paesi caraibici – tutte economie fortemente dipendenti dal turismo – stanno cercando di trarre vantaggio dal momento: Antigua e Barbuda da settembre con il programma Nomad Digital Residence (visto di 24 mesi se si ha un reddito annuo di almeno 50.000$), il territorio britannico di Anguilla da agosto con il Digital Nomad Packages (fino a un anno pagando una cifra che va da 2.000 a 3.000$), le Barbados da giugno con il programma Barbados Welcome Stamp (un visto fino a 12 mesi per i lavoratori da remoto).

Sull’Oceano Indiano, le Mauritius con il Premium Visa si rivolgono a un pubblico più vasto: oltre a coloro che vogliono trasferirsi per lavorare a distanza, anche a chi vuole una seconda casa a lungo termine sulle isole o a chi desidera passare lì la pensione. Mentre sul lato arabo, Dubai con Work remotely from Dubai da ottobre consente di lavorare da remoto per un anno nella città, con tanto di famiglia al seguito, con requisito necessario un guadagno mensile di almeno 5.000$ al mese e il possesso di un’assicurazione medica con copertura internazionale.

Guardando all’Europa, nel tentativo di compensare la perdita di turisti, le Canarie hanno lanciato una campagna internazionale da 500.000 euro volta ad attrarre 30.000 lavoratori a distanza.

L’Estonia ad agosto ha aperto le candidature per il Digital Nomad Visa for remote workers. Il visto consente a lavoratori stranieri di lavorare da remoto nel paese. I requisiti richiesti sono di essere intestatari di un’assicurazione sanitaria e dimostrare di aver guadagnato più di 3.504 euro lordi mensili nei sei mesi precedenti alla domanda. Anche la Georgia spera di attirare cittadini stranieri che possano lavorare a distanza nel paese. Per farlo ha creato a luglio Remotely from Georgia. I candidati potranno vivere e lavorare dalla Georgia a condizione che rimangano per sei mesi o più e possano permettersi di mettersi in quarantena a proprie spese per 14 giorni all’arrivo. Il programma ha ricevuto 2.700 domande di adesione nel giro di pochi giorni dall’apertura.

Anche la Croazia ha annunciato l’introduzione di un visto per nomade digitale. Mentre in Islanda il governo ha recentemente modificato i regolamenti per consentire ai cittadini stranieri che lavorano a distanza per società straniere, o a freelance – presentando un contratto di lavoro, dichiarando il proprio reddito e possedendo un’assicurazione sanitaria – di richiedere un visto che consente loro e alle loro famiglie di rimanere sull’isola per un massimo di sei mesi.

La sfida per conquistare gli ‘smart worker’ è quindi aperta.
Vedremo nei prossimi anni chi l’avrà saputa sfruttare al meglio.