Indossa la gonna, i tacchi e ha lo smalto sulle unghie. È Stefano Ferri, pr di successo, consulente Meeting & Incentive, scrittore, giornalista e pubblicitario. Ha una moglie e una figlia. E ama vestirsi da donna.

La sua esperienza nel settore dell’ospitalità unita al suo percorso di vita da crossdresser lo rendono la persona giusta con cui confrontarsi sul tema della diversità e dell’inclusione nell’hotellerie.
Abbiamo chiesto a Stefano se sia possibile rendere l’hotel un ambiente inclusivo, dove qualsiasi tipo di ospite si senta accolto e al sicuro. 

we. Partiamo da te. Cosa succede quando entri in hotel con la gonna?

Vi racconto tre esperienze.
È il 2014. Arrivo in hotel, quel giorno indosso un tubino e una giacca. Le due receptionist al desk del ricevimento mi guardano e sogghignano.

Altro esempio, risalente a molti anni prima. È il 2002. Al bar dell’albergo dove alloggio ci sono due donne sedute al bancone, entrambe ospiti dell’hotel, proprio come me. Una delle due donne mi nota, si volta verso l’altra e le dice ridacchiando: “Il mondo è bello perché è vario”. L’amica ride e a loro due si accoda il barista dell’hotel, in divisa. Che ride sotto i baffi, dietro al banco del bar.

Immaginate il danno grave, gravissimo che una condotta del genere da parte dello staff dell’hotel comporta al brand. Chi indossa la divisa rappresenta l’azienda, e un comportamento sbagliato, anche se individuale, inficia la reputazione dell’azienda nel suo complesso. 

Vi faccio un ultimo esempio, di segno opposto.
È il 2016. Sono in un resort cinque stelle lusso in Turchia. Il fotografo dell’hotel, un ragazzo turco e musulmano, mi scatta una foto mentre indosso un abito elegante, da donna. È la foto più bella che mi abbiano mai scattato. Neanche mio padre, uno dei più famosi fotografi in Italia del secolo scorso, è mai riuscito a scattarmene una così.
E sapete perché quel fotografo, turco e musulmano, è riuscito a scattare quella foto malgrado io indossassi un vestito da sera in stile femminile? Perché mi sentivo al sicuro e libero di sorridere a mio agio. E questo perché tutto lo staff del resort era stato formato al rispetto e all’inclusività.

Non consiglierò mai in vita mia i primi due hotel dove sono stato deriso. E soprattutto non ci tornerò mai più. Di quest’ultimo resort invece non faccio altro che parlare bene ad amici e conoscenti.

Un comportamento sbagliato, anche se individuale, inficia la reputazione dell’azienda.


we. Tanti altri però potrebbero non vivere la tua stessa esperienza in quegli hotel. Potremmo dire che il tuo è un “caso particolare”?

Potete pensare che il mio modo di presentarmi sia sui generis, un caso particolare. Beh, decenni fa lo era sicuramente. Oggi abbiamo i Måneskin e Mahmood che vince il Festival di Sanremo indossando una gonna. Il punto è che se qualcuno dello staff si comporta male con me, allora quel qualcuno può farlo anche con qualcun altro: un disabile, una coppia gay, un trans. Ecco, vedete, la platea si è già allargata. E di parecchio.

we. Cosa ti senti di consigliare agli albergatori?

Mi metto nei loro panni, so quanto tempo impiegano per selezionare i loro dipendenti e formarli. Poi basta poco per far crollare tutto. Una risata fuori luogo, uno sguardo nel momento sbagliato, uno sbuffo inopportuno. Un semplice comportamento vanifica tutti gli investimenti che l’azienda ha fatto.

È importante capire le cause di un atteggiamento del genere. La principale è ovviamente la mancanza di rispetto. A questa però si aggiunge un habitat che favorisce atteggiamenti non rispettosi. Per habitat intendo un ambiente dove le persone lavorano malvolentieri o hanno cattivi rapporti con i colleghi o accumulano ogni giorno stress e tensione.

Così quando arriva alla reception uno “Stefano Ferri” qualsiasi, un portatore sano di diversità, c’è uno scoppio, una risata, uno sfogo dello stress appunto. È fondamentale per questo insegnare ai propri collaboratori a essere rispettosi.

we. Come si fa a insegnare il rispetto?

La risposta è semplice e difficile allo stesso tempo. Con un bambino puoi usare metodi pedagogici, con un adulto no. La differenza tra un bambino e un adulto è che lo spazio mentale di un adulto è dominato da esperienze cementificate. Di conseguenza, quando un adulto ti ascolta può solo essere o non essere d’accordo con te. Difficilmente può imparare qualcosa da te. L’adulto impara solo attraverso l’esperienza. Questo vale a maggior ragione nel caso del rispetto, che è un’attitudine, non una disciplina.

Per insegnare ai propri collaboratori a essere rispettosi, è necessario metterli nelle condizioni di empatizzare con gli altri. Di calarsi nei panni altrui con l’immaginazione.

we. Cosa dovrebbe imparare lo staff calandosi nei panni di ospiti diversi, come te?

C’è una caratteristica che accomuna le persone crossdresser come me, così come i disabili, i trans, i gay: sono persone più suscettibili delle altre alla paura.

Ho seguito un percorso di psicoterapia per 15 anni per superare la fobia del “fortino assediato”, un’iperbole di paura, senso di insicurezza e angoscia. Pensate che in certi Paesi verrei condannato a morte per come mi vesto, stesso destino che spetta a una persona gay. Può questo non suscitare paura al solo pensiero? Pensate la paura di una persona in sedia a rotelle che non sa se riuscirà a entrare in hotel, poiché non sa se si troverà di fronte una scala che non riesce a salire.
Chiunque ha il dovere civile di comprendere la paura degli altri.

I crossdresser? Sono persone più suscettibili delle altre alla paura.

we. Nella pratica, cosa può fare un albergatore per formare lo staff a essere più inclusivo?

Bisogna istruire lo staff al fatto che ci sono persone che potrebbero avere paura di qualcosa che per loro non è nulla. Per esempio entrare in un locale: c’è chi può avere paura di essere cacciato dal locale perché gay, o trans, o crossdresser. Un receptionist deve saper fornire una lista di locali dedicati a queste tipologie di persone o eventualmente segnalare i posti di cui si ha una brutta nomea.

In generale, i dipendenti devono essere istruiti a dare informazioni utili: dai locali dedicati, ai percorsi più rapidi se si cammina di notte, alle aree più sicure se si è da soli.
Insomma, la chiave è sapersi mettere nei panni di chi ha paura.