Nel volersi aprire al turismo LGBTQ+, hotel e destinazioni commettono imperdonabili errori di comunicazione, legati a stereotipi obsoleti, con il risultato di apparire non adeguati a questa tipologia di viaggiatori e ottenendo l’effetto completamente contrario. Vediamone insieme una carrellata.

C’è davvero bisogno di sviluppare esperienze e offerte specifiche per la comunità LGBTQ+? Non sono turisti come tutti gli altri? Queste sono le domande che mi sento ripetere più spesso, ogni volta che si parla di turismo LGBTQ+. La verità è che l’argomento è estremamente sfaccettato, comunque la risposta è sì a entrambe le domande. 

Sì, c’è davvero bisogno di sviluppare esperienze e offerte specifiche per la comunità LGBTQ+.

Perché la comunità LGBTQ+ ha delle esigenze particolari, esattamente come tutte le tipologie di turisti. Perché si tendono a preferire destinazioni e strutture LGBTQ+ friendly per sentirsi a proprio agio, avere eventualmente possibilità di socializzare con altri membri della comunità, per non doversi preoccupare di attirare attenzioni indesiderate e, nella peggiore delle ipotesi, evitare episodi di discriminazione.

E sì, certo che sono turisti come “tutti gli altri”.

Ma chi sono, esattamente, tutti gli altri? Seguendo questo ragionamento, anche le famiglie, i ciclisti, le coppie, i clienti business sono da considerarsi come tutti gli altri. Eppure per queste tipologie di ospiti vengono offerti servizi ed esperienze dedicati, nell’ottica di attrarre uno specifico target con proposte personalizzate. Lo stesso vale per i membri della comunità LGBTQ+ con le loro caratteristiche, tendenze di viaggio, necessità. Perché cercare luoghi LGBTQ+ friendly non significa, come molti sostengono, ghettizzarsi. Significa invece ricercare particolari contesti e avere la certezza di essere messi a proprio agio [cosa che purtroppo non sempre succede].

Il problema è che non tutte le realtà ospitali sono veramente preparate e i frequenti errori di comunicazione sono sotto gli occhi di tutti. Errori legati molto spesso alla superficialità e a stereotipi sempre troppo duri a morire. Vediamo quali sono i più comuni.

Credere che sia sufficiente una dicitura

Essere LGBTQ+ friendly non significa spuntare una casella sulle OTA né tantomeno, come molti credono, accettare una clientela di questo tipo [e questo già la dice lunga sul livello di friendliness…]. È chiaro che la accettiate, ci mancherebbe altro! Spiace dirlo, ma troppo spesso capita di trovare nella descrizione dell’hotel la dicitura LGBTQ+ friendly buttata là alla stregua di bagno in camera o wi-fi gratuito senza che poi la struttura abbia alcuna caratteristica per poter essere definita tale.

Questo errore può costare molto in termini di reputazione. Come scrivere family hotel e poi non offrire alcun servizio per i bambini. Generare aspettative e poi disattenderle è l’anticamera del passaparola negativo.

Proporre soluzioni per soli uomini

Il mondo delle donne lesbiche sembra essere completamente escluso dalle proposte turistiche. I portali più popolari per la ricerca di alloggi e vacanze LGBTQ+ friendly sono profilati esclusivamente su un pubblico maschile. Hotel e destinazioni, per comunicare con questo pubblico, utilizzano quasi sempre immagini di coppie maschili. Ma perché?

Credere che la certificazione sia inutile

La certificazione è quello che fa la differenza tra il definirsi LGBTQ+ friendly e l’esserlo veramente. Come detto sopra, troppe strutture hanno utilizzato questa dicitura in maniera impropria con il risultato che i viaggiatori si fidano sempre meno di un’autocertificazione. La certificazione, invece, testimonia un percorso di formazione da parte dello staff, generando fiducia e predisponendo positivamente i potenziali clienti. Anche in questo caso, l’obiezione più comune è quella legata al fatto che non sia importante perché nessun hotel caccerebbe o discriminerebbe una coppia gay [speriamo].

Ma, ancora una volta, non è questo il punto. Il punto è trovare un ambiente favorevole, dove il personale sia abituato a comunicare con persone gay e dove, per esempio, una persona transessuale non si attiri sguardi insistenti [e questo sì che succede sempre, purtroppo]. Questo perché, tendenzialmente, in un hotel certificato si dà per scontato che anche il resto della clientela sia friendly e si abbassa il rischio di poter vivere episodi spiacevoli legati a omofobia, ignoranza, atteggiamenti inopportuni.

Tanti stereotipi, tante false credenze, tanta superficialità che portano a perdere importanti vantaggi competitivi nel settore dell’accoglienza. E della civiltà.

*In copertina un’immagine della pedana rainbow installata dal titolare Stefano Mazzotti al Bagno 27 di Rimini, stabilimento LGBTQ+ friendly e da sempre esempio di ospitalità inclusiva.