La tragedia che ha colpito l’Emilia-Romagna in questi giorni ha messo in luce la fragilità di un sistema che, sì, forse farà fatica a comunicare con i turisti, ma che purtroppo si presta a diventare oggetto di sciacallaggio da parte di sedicenti esperti. Ma ce n’era davvero bisogno?

Nelle ultime ore abbiamo assistito a un fenomeno a mio avviso affatto edificante per il settore della consulenza alberghiera. Guru di qualsiasi risma stanno facendo a gara, tra social e newsletter, a prodigarsi in consigli – più o meno richiesti, più o meno utili – sulla gestione della comunicazione delle strutture ricettive colpite dall’alluvione. Cosa c’è di molto sbagliato in tutto questo?

«In questi giorni molti esperti e agenzie di marketing e web marketing stanno inviando newsletter dispensando consigli su cosa fare per “non annegare nella marea” di contenuti su quanto è accaduto in Romagna, per tranquillizzare i potenziali turisti sullo stato delle proprie strutture. Ma perché inviarle come newsletter invece di contattare uno a uno i propri clienti? Perché farlo con newsletter e post rivolti a tutti, ma proprio tutti, anche ad albergatori lontani centinaia e centinaia di chilometri, di altre regioni? L’impressione è che si tratti più di ricerca smodata di visibilità che di un aiuto concreto agli operatori. O forse i database che stanno utilizzando non sono profilati per località?». Questa l’opinione di Emanuele Nardin, direttore di Hotelperformance, in merito al fenomeno degli ultimi giorni, ma che si verifica ogni volta che una destinazione subisce delle calamità.

Per quanto indicatore di una comunicazione inefficiente, l’errore di profilazione dei database sarebbe una considerazione perfino generosa. Io purtroppo vedo malafede e sciacallaggio. Esperti di comunicazione che si prodigano da giorni su ogni canale possibile, su ogni gruppo di settore, a dare suggerimenti non richiesti su questioni di lana caprina. E poi newsletter a pioggia distribuite, appunto, urbi et orbi [ne ho ricevute anche io e come me tanti professionisti, quando invece avrebbero dovuto se mai essere dirette esclusivamente agli albergatori delle zone colpite dall’alluvione] per insegnare al povero albergatore alluvionato a comunicare in maniera vincente [sì, vincente. Sotto l’alluvione]. Non entro nel merito dell’utilità di queste elaborate “strategie” – che vi spoilero: dovete farvi i selfie un sacco positivi e un sacco sorridenti e dire che va tutto bene yeah – ma, non sarebbe in effetti più efficace, utile e soprattutto umano chiamare i propri clienti del territorio, accertarsi che stiano bene e magari dare loro qualche suggerimento su come gestire eventuali richieste di cancellazione et cetera?

La verità è che chi non ha contenuti spesso si lancia in iniziative di dubbio gusto, prima ancora che di dubbia efficacia. Ricordo benissimo i tempi del primo lockdown, quando erano gli operatori del settore, disorientati come tutti noi, a chiedere consigli su come comunicare. E ricordo che per trovare le parole giuste e per arrivare a dare suggerimenti veramente utili è servito tanto studio, tante valutazioni a seconda delle tipologie di struttura e, soprattutto, tanta empatia in una situazione davvero complessa di cui non si conosceva minimamente l’esito neanche nel breve periodo.

È forse in queste sette letterine [e m p a t i a] che sta la differenza tra una strategia di comunicazione sensata e quello che altro non è che hawk marketing. Lo abbiamo visto anche all’inizio della guerra in Ucraina [poi le gare di solidarietà a favore di social si sono magicamente interrotte dopo un paio di settimane]. Ecco, l’atteggiamento predatorio insito in questo modo di proporsi non ha niente a che vedere con le buone pratiche della comunicazione, soprattutto quando si parla di social media.
L’utente cerca infatti nei social l’anima dell’ospitalità, notizie diverse da quelle proposte dall’advertising e dalla comunicazione prettamente commerciale. Ma poi qualcuno potrebbe gentilmente spiegare in che modo i selfie in spiaggia con le dita in segno di vittoria e i sorrisoni dovrebbero salvare le sorti di una destinazione? Eppure i falchi volano instancabili, ignorando anche le più semplici regole del buon senso. Dopo un’ora dall’alluvione loro sanno già cosa devi dire ai clienti, in che posa devi fotografarti, quali filtri utilizzare, quali tariffe applicare, come gestire le cancellazioni. Tutto.

Aldilà delle discutibili modalità di autopromozione, aggiungerei che una strategia di comunicazione standardizzata non può apportare alcun vantaggio a strutture e destinazioni. Francamente, la cosa più bella e potente che si è vista in questi giorni sono stati gli innumerevoli messaggi di solidarietà. Non dico certo che non sia importante continuare a curare l’immagine delle strutture e dare informazioni e messaggi – sì, anche positivi – ma è importantissimo che ognuno lo faccia in maniera personalizzata e utilizzando il proprio tone of voice in base anche alla tipologia di clientela. Perché la comunicazione non è una scienza e non si compone di regole che possono essere uguali per tutti. In questi giorni invece se ne stanno vedendo di tutti i colori. E dall’hawk marketing al vulture marketing il passo è breve.