Sandrini Green Architecture. Il mio giardino perfetto [con il verde sostenibile].
Questione di educazione.
In questi ultimi anni è aumentata la sensibilità nei confronti degli spazi verdi diventati quasi una vera e propria esigenza del vivere contemporaneo. Trend ed evoluzione della progettazione del verde in un’intervista a Marco Sandrini (Sandrini Green Architecture).
Ma i giardini seguono le mode? E il banano a Milano?
La parola giardino deriva dall’arabo e significa paradiso.
Marco Sandrini è art director di Sandrini Green Architecture, l’azienda specializzata nella progettazione del verde, fondata nel 1993 in provincia di Brescia insieme al fratello Giuseppe.
Amante dell’arte e dell’architettura, con una forte passione per il design e i giardini, ha conseguito una specializzazione in architettura del paesaggio con il maestro Marco Raja, discendente della grande scuola di Pietro Porcinai, il più noto paesaggista italiano del Novecento.
Siamo di fronte alla decadenza di un’idea di onnipotenza.
we: Come è cambiato negli anni l’approccio da parte della committenza nei confronti della progettazione del verde?
Ho avuto la fortuna di iniziare a lavorare con i grandi maestri del verde e quindi conoscere il settore da una posizione privilegiata, per la quale il verde è sempre stato un elemento prioritario e integrato all’architettura e agli interior. Con il passare degli anni, mi sono accorto che questa cultura, che apparteneva al mondo dell’elite, è diventata di dominio pubblico. La gente si è avvicinata, o riavvicinata, al verde come un bisogno ancestrale, una necessità, un bisogno forte e integrante dell’essere umano. Il verde fa stare bene, quindi ognuno di noi ha bisogno di circondarsi di verde. Possiamo definirla una tendenza dei giorni nostri.
we: È una tendenza che investe tutti i settori e anche quello dell’hospitality. Come avviene l’iter progettuale?
C’e sempre di più un coinvolgimento sinergico. Quando si tratta di strutture nuove, il verde è parte integrante del progetto per cui non c’è struttura ricettiva di nuova realizzazione senza il verde. E anche in strutture già esistenti, il trend è quello di dare al proprio ospite un valore in più. Il cliente ricerca la natura anche nella vacanza. Relax oggi significa sempre di più immersione nella natura.
we: Chi è il tuo interlocutore nel settore dell’hotellerie?
Dipende, ogni caso è a sé. Lavoro spesso con la committenza che mi chiama direttamente, lavoro anche con architetti che mi coinvolgono nel loro progetto architettonico e di interior, lavoro con catene alberghiere che si rivolgono a noi per dare quel plus in più.
we: Quali sono i brief?
La cosa importante è saper fare le domande giuste e ascoltare per capire quale deve essere l’impatto del nostro intervento: sul cliente, sugli aspetti di gestione, budget e costi. Sono io che creo il briefing e la situazione sulla quale poi potermi muovere. Ogni struttura ricettiva ha le sue esigenze, a seconda della tipologia di clientela e del tipo di ricezione. E sono io a dover capire quali sono le aspettative in funzione del target e dell’hotel.
we: Quali sono le tendenze attuali nel settore verde?
La principale è quella di creare un verde sostenibile. Fondamentale è la conoscenza delle piante per potere offrire al committente delle essenze per le quali ottimizzare la gestione e i consumi, sia energetici che idrici. Io trovo etico lavorare con essenze autoctone che, una volta acclimatate, richiedano sempre meno manutenzione e apporto idrico. La tendenza è quella di avere un verde naturale vicino a quello che il contesto offre. Un esempio è l’intervento a Tenuta Colle Piajo, un luxury resort in provincia di Bergamo, specializzato in ricezione ad alto livello e wedding. In questo caso l’obiettivo, condiviso con la committenza, era quello di progettare un verde che si legasse al paesaggio di per sé affascinante: niente artifici ed elementi avulsi o esotici. Abbiamo lavorato molto a enfatizzare l’aspetto scenografico con cicli di colore importanti, utilizzando per esempio graminacee e arbusti perenni che perpetuassero il colore nel corso delle stagioni.
we: E cosa ne pensi di scelte esotiche in contesti che non lo sono?
Se sono supportate da poetiche e filosofia progettuali, perché no? La palma è stata introdotta a Milano nei primi anni del secolo scorso, nel periodo dell’Esotismo. Quasi tutti i cortili milanesi, quelli importanti, hanno le palme. Magari il banano no, un po’ troppo pop. Però chissà? In una poetica pop, magari ci sta.
Non dico di no a priori. Le piante evolvono. Come noi ci spostiamo anche le piante si acclimatano. Molti giardini milanesi fine ‘800 inizi ‘900 sono esotici. Perché in quel periodo quella era la moda.
La mia visione progettuale, comunque, prevede un’etica che mi porta a scegliere piante che non abbiano viaggiato e che non hanno bisogno di sforzi enormi per vivere, costi di gestione importanti e anche dispendio di energie.
we: Anche per il verde si può parlare di mode?
Ma certo. Come l’architettura e il design, anche il green ha i suoi cicli. Ed è bello che sia così. Ci sono ovviamente dei giardini che sono senza tempo, mi riferisco a quelli delle dimore storiche, giardini che riescono a essere ancora attuali e ancora più belli con il passare del tempo. Anche loro però sono stati concepiti secondo le mode dell’epoca: il giardino all’italiana o il giardino romantico all’inglese.
we: Una tendenza molto sentita è il design biofilico. Ne ha risentito positivamente il tuo lavoro?
Certamente. Ma più che una moda questa è una necessità. Oggi l’uomo si è scoperto fragile, la società vulnerabile. Siamo di fronte alla decadenza di un’idea di onnipotenza. Stiamo capendo che noi non siamo niente rispetto alla natura e alle piante. Le piante sono più capaci di sopravvivere rispetto all’uomo e noi abbiamo una dipendenza dalla natura. Questa consapevolezza sta coinvolgendo non solo l’aspetto dell’abitare ma quello del vivere. L’uomo fa parte di una catena e non è neanche così importante. Anzi, se l’uomo non ci fosse la terra potrebbe vivere molto meglio.
we: Cosa ne pensi della tecnologia?
Questo periodo, e in particolare il secolo scorso che è quello durante il quale ci siamo avvicinati indissolubilmente alla tecnologia, ci ha allontanato molto da quella che è la nostra natura. L’uomo ha vissuto per migliaia di anni in un certo modo e poi a un certo punto ha incominciato a vivere in modo innaturale, tecnologico. Un concetto nuovo ma che si sta dimostrando fallace. C’è un bisogno estremo di ritornare ai ritmi della natura.
we: Leggo una leggera critica rivolta allo sviluppo tecnologico.
No, lo sviluppo tecnologico ci ha portato benefit importantissimi ma con questo non si può rinnegare quello che siamo. Il nostro essere animali parti di un sistema. Se dimentichiamo questo, e non rispettiamo la nostra ancestralità, ci distruggeremo. La tecnologia ben usata può darci comunque grandi vantaggi ma se usata male ci rovina. Abbiamo fatto grandi progressi ma il progresso più grande è quello di accettare che facciamo parte di un sistema.
we: Siete consulenti di famiglie reali e lavorate moltissimo all’estero. Quali sono le differenze sostanziali tra lavorare in Italia e in Medio Oriente?
Il mio lavoro è quello di trasmettere i valori e i ritmi del verde che sono differenti dai nostri. Una pianta ha bisogno dei tempi della natura per potersi esprimere al meglio. Spesso mi scontro con una committenza estera che vuole tutto e subito. Non si può pensare di fare un giardino che sia subito bello. In questo caso non ti sto progettando un giardino ma sto facendo un allestimento che tra pochi anni devo disallestire. Progettare un giardino è qualcosa di diverso, universale, che va oltre la vita stessa. Per mia etica professionale cerco sempre di educare al giardino.
we: So che state lavorando a progetti importanti nel settore della nautica.
Cosa può mancare su uno yacht dove c’è tutto, tutti i confort che si possono sognare? Il vero lusso è avere il verde a bordo; è una sfida in quanto le condizioni non sono facili. Grazie però all’uso di tecnologie [ecco che ritorna il tema della tecnologia ma in questo caso a servizio dell’uomo], geotessuti, impianti di sottoirrigazione e idroponica, riusciamo a creare pareti verdi e anche colture di piante aromatiche per la cucina e l’orto di bordo. Se andiamo a studiare la storia delle grandi traversate, avere il verde a bordo era una vera necessità: sui galeoni c’erano spazi dedicati alle colture di ortaggi per il sostentamento durante i lunghi periodi in mare.
Credits©circle/ph FScarpa
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