Una conversazione con Dante O. Benini: “Il mio amore per il mare e per la Seven”.

Nel momento in cui riesci a fermare la mente di chi guarda e riesci a fargli dire ‘questo non me l’aspettavo’, in quel momento gli hai spaccato la monotonia del quotidiano. Ed è lì che sai di avere realizzato qualcosa di straordinario.

A sinistra, Dante O. Benini e Luca Gonzo.

È sempre un’emozione conversare con DOB, Dante Oscar Benini. Il piacere della narrazione gli è propria, aneddoti divertenti, grandi personaggi dell’architettura con i quali ha lavorato (Gehry, Meier…), un entusiasmo giovane che ti contagia. Con una vita da romanzo, l’architetto milanese cresciuto nello studio di Carlo Scarpa, laureatosi in Brasile con Oscar Niemeyer, spronato e appoggiato da Bruno Zevi, con un’esibizione formale che nasce solo da un equilibrio di contenuto e per questo assimilato da Cesare De Seta a Renzo Piano, oggi ci racconta la sua grande passione per il mare sfociata in un approccio professionale allo yacht design.

we: Quando hai incominciato a progettare gli interior delle barche?

DOB. Ho conosciuto Renato Molinari, 18 volte campione motonautico del mondo, circa una trentina di anni fa e mi chiese di dargli qualche consiglio per una barca di 9 metri day use. E quello è stato l’esordio. Non era comoda per dormirci. Gli ho studiato un letto estraibile a prua. Gli ho chiuso il bagno. E gia, nonostante i suoi nove metri, dava l’illusione di una barca grande. Poi sono passato a progettare i 14 metri, poi i 24 fino ai 60 metri della Seven dei cantieri Perini Navi, di Ennio Doris. Un’imbarcazione che si è aggiudicata il primo posto nella categoria Best Lighting ai Boat International Design & Innovation Awards 2018. Quando in studio è arrivato Luca [Luca Gonzo, partner dello studio] gli ho trasmesso come un gesto naturale questa mia passione.

we: Cosa significa fare yacht design e quali sono le differenze rispetto all’architettura d’interni?

DOB. In questo settore una precisa richiesta da parte dei costruttori è di non sovraccaricare lo scafo. Ero pochi giorni fa la Salone Nautico a Genova e parlavo con il titolare di Amer Yachts del Gruppo Permare che mi raccontava di essere riuscito a togliere da un 30 metri 40 quintali di peso. E questo si tramuta in una maggiore autonomia: poter andare da Venezia a Montecarlo senza dover fare rifornimento. Solo un architetto distratto può caricare quintali di marmo per rivestire gli interni di una barca.

Per rispondere alla tua domanda, non c’è alcuna differenza nella misura in cui nell’architettura di interni poni la stessa attenzione per il risparmio e l’ottimizzazione dello spazio che hai quando progetti l’interior di una barca. Io provengo da una scuola, e lo dico con orgoglio, per la quale il centimetro quadrato vale ancora qualcosa perché ha un costo. Questo permette di acquistare case più piccole ma pensate bene. Quello che mi ha insegnato Scarpa è che lo spazio è l’illusione che se ne dà.

Il ponte inferiore della Seven secondo il layout standard.
Il layout del ponte inferiore della Seven come realizzato secondo il progetto di Benini &Partners.

LG. La nautica ti dà la possibilità infinita di fare ricerca e sviluppo. Ci sono una serie di esigenze da soddisfare, dalla leggerezza alle tecnologie avanzate, alla domotica, ci sono limiti determinati dagli spazi definiti dall’ingegneria navale. Tutto questo apre un orizzonte illimitato nell’ambito della ricerca e sviluppo. La ricerca sta anche nel trovare spazi dove sembra che non ce ne siano. Per esempio per la Jameel la barca di stato del re del Bahrain, di 51 metri, abbiamo completamente stravolto un layout standard, scoprendo nuove realtà distributive. Come anche per la Miralta, dei cantieri Sanlorenzo, nella quale abbiamo trasformato tutte le paratie laterali in contenitori ottenendo uno stivaggio di rapporto 4 a 1 rispetto alla superficie calpestabile.

Siamo stati anche i primi a inserire equipaggiamenti di intrattenimento audio e video integrati nei cielini e arredi con automatismi o che escono dalle pareti utilizzando a tutta altezza lo spazio senza finestre e tutto quello che era possibile delle pareti finestrate. Mutuando anche dalla nostra esperienza di architettura di interni, abbiamo inserito le cabine armadio nelle master, sfruttando al massimo le murate delle imbarcazioni e recuperando spazio per la doccia nei bagni.

we: Quanto vi seguono i cantieri navali nella realizzazione dei vostri progetti?

DOB. La tecnologia oggi permette di realizzare cose che vent’anni fa erano impensabili: i vincoli costruttivi sono costituiti solo dalle paratie. C’è la volontà di differenziarsi, anche perché la differenziazione paga. È vero che queste possibilità realizzative oggi portano a soluzioni fin troppo eccessive, a volte solo tese a stupire.

we: E come interviene l’armatore nella progettazione dell’imbarcazione?

DOB. Il mondo della nautica è fatto da due tipi di persone: quelle che vogliono la barca perché la usano e altre che ne fanno un oggetto di esibizione. I nostri clienti fino a oggi sono persone che vanno in mare.

La sottile linea blu della Seven.

LG. Gli armatori attenti sono molto impattanti sul briefing. Per esempio il Miralta è stato voluto con quattro cabine contro le tradizionali tre, con la richiesta della kitchenette separata e l’office e con un uso spregiudicato del legno curvato. Per la Seven la richiesta dell’armatore [Ennio Doris] è stata quella di avere due cabine armatoriali invece che una. Quindi due master con tutti gli spazi connessi: non è stato semplice in quanto la Seven è una imbarcazione a vela. Questo significa difficoltà maggiori rispetto a uno yacht a motore. Un’altra richiesta era che la sala da pranzo potesse trasformarsi in sala riunioni, anche con esigenze di insonorizzazione. Non a caso la Seven si chiama così: ci sono sette nipoti a bordo. E c’era anche l’esigenza di ospitare tanti amici, anche quelli dei nipoti, e quindi ci volevano posti letto aggiuntivi. Ci siamo inventati letti che calano a lift dal soffitto.

Una delle cabine master.

DOB. Inoltre volevano anche una zona pranzo a prua. Quando fa molto caldo, mangiare a poppa non è la soluzione ideale. Meglio a prua, con la brezza che viene dal mare. Mi hanno mandato una foto: sui divani intorno al tavolo in più di 15 persone. È una foto che non ho mai cancellato perché è una manifestazione di gioia e anche di riconoscenza, che prevarica il rapporto cliente-architetto.

LG. Quando gli armatori sono molto presenti fin dall’inizio della progettazione, vuol dire che la barca diventa il loro modo di accogliere. Non è solo dedicata a loro stessi ma ogni dettaglio viene studiato per ospitare nel modo migliore famigliari e amici.

we: A proposito di dettagli.

DOB. Ci sono delle attenzioni che devi prestare alla progettazione proprio perché sei in mare. Spesso capita di perdere l’equilibrio, si è quasi sempre a piedi nudi. Bisogna limitare elementi di inciampo, dove puoi farti del male. Per questo motivo abbiamo studiato raccordi dei tavoli di forma absidale, tondi, quasi un rail dove appoggiare il piede. Un’attenzione in più anche per i piani dei tavoli: realizzati con bordi di contenimento per non fare scivolar gli oggetti in casi di rollio ma anche con un gocciolatoio nel mezzo dove, grazie a una minima pendenza, possono defluire liquidi accidentalmente sversati ma anche l’acqua portata dalle onde.

Seven-main deck.

I divani, secondo lo standard, vengono prodotti con una fascia in legno o metallica alla base. I nostri sono tutti imbottiti, un’ulteriore attenzione al fatto che in barca normalmente sei scalzo. Inoltre, per essere lavati, i rivestimenti sono facilmente asportabili perché fissati con attacchi magnetici. Le discese del letto sono studiate con un soft pad di un millimetro e mezzo così da appoggiare il piede sul morbido.

Ogni architetto tende a fare della barca la sua opera unica e rifiuta qualsiasi cosa che venga da altri salvo accettare i consigli del cantiere, quando l’architetto è intelligente e c’è un problema da risolvere che non sa risolvere.

we: La Seven non è l’unica barca dalla metratura importante. Avete disegnato la barca di Stato del re del Bahrain, il Jameel, di 51 metri, la Explorer di 74 metri altre due barche di 64 metri ma alla Seven tornate sempre nei vostri racconti.

DOB. La Seven è stata una composizione musicale a partire dal logo firmato dallo Studio Vignelli [Massimo Vignelli, l’uomo che disegnò la prima mappa della metropolitana di New York].

LG. La Seven è stata per noi la barca più sfidante perché è una barca a vela e una barca a vela da gara. Doveva essere ospitale, accogliente, curata nei dettagli ma nello stesso tempo adatta per essere portata da un equipaggio che va a vela e al quale piace correre. Abbiamo studiato particolari mai usati prima su uno yacht a motore. Ogni anta degli armadi è imbottita, non puoi farti male anche quando stai andando di bolina. Ci sono molte superfici di appoggio, molti corrimano e “tientibene” verticali. Su questo abbiamo fatto scuola.

DOB. Ci siamo confrontati anche con l’altezza non indifferente dell’armatore, un uomo di più di un metro e novanta, come il figlio, che doveva sentirsi a suo agio in uno spazio con altezze limitate di due metri e qualcosa. Riprendendola da un disegno di Armani, abbiamo utilizzato a soffitto una carta da parati con una trama intrecciata con effetto evanescente e skylight. Il letto è a baldacchino, leggermente staccato dal soffitto di qualche centimetro. In questa fessura corre una striscia luminosa. Quando si accende la luce il soffitto scompare e rimane l’idea di uno spazio dilatato, più alto di quello che in realtà è. [E ancora ritorna Scarpa.]

Il pozzetto.

we: Studi illuminotecnici e rivestimenti riflettenti non è la prima volta che li usate.

LG. Già ai tempi del Miralta, nel 2000, e poi del Jameel avevamo studiato dei rivestimenti a soffitto con una pellicola prismatica utilizzata nei tubi ottici per la diffusione della luce. Per effetto delle luci laterali sembrava che avessimo realizzo un lucernario al centro.

Sul Jameel lo studio illuminotecnico era ancora più spinto in quanto di giorno doveva essere un salone delle feste ma di notte si trasformava in discoteca con luci stroboscopiche.

we: Raccontateci del Jameel, la barca di stato del re del Bahrain.

DOB. Sul Jameel era tutto incredibile. Aveva soffitti incredibili, luci incredibili, corrimano incredibili. Abbiamo introdotto tecnologie incredibili che all’epoca erano lo stato dell’arte della domotica. La regina voleva stare solo a prua. Avevamo studiato una specie di grande cucchiaio, avvolgente, rivestito in soffici cuscini dove lei poteva sdraiarsi di fronte al mare, davanti al marito. Il brief prevedeva grafiche con la manta con la coda dalla schiena argentata. Siamo riusciti a salvarlo: già allora lavoravamo con un segno contemporaneo che siamo stati capaci di fare apprezzare a tutto lo staff del re.

LG. Sul Jameel abbiamo avuto modo di fare le prime sperimentazioni. Era una barca di 51 metri, certamente grande ma non abbastanza per un re. Abbiamo quindi studiato soluzioni salvaspazio come per esempio aperture degli armadi a tapparella, tutte in legno, evitando gli ingombri delle antine. Particolari realizzati artigianalmente come solo le nostre eccellenze italiane sanno fare.

DOB. Aprendole hai la percezione immediata di tutto quello che è stivato all’interno: piatti, posate… Un dettaglio che non abbiamo più riproposto. Prima di tutto perché non amiamo ripeterci e poi perché le barche che abbiamo progettato successivamente erano più grandi e non avevano questi problemi di spazio.

we: Qual è il vostro ultimo progetto di yacht design?

DOB. È una barca che non abbiamo realizzato, studiata con Espen Oeino che è il più grande progettista navale nautico con sede a Montecarlo, le barche più note degli ultimi venti anni le ha disegnate lui.

Il progetto si sviluppa sulla sostenibilità, sia navale che energetica, con l’uso di materiali riciclati e riciclabili, giocato su materiali riflettenti e sostenibili e un light design che deriva dalla nostra esperienza architetturale. La camera armatoriale ha un letto sopraelevato dal quale poter vedere il mare e non essere visti, con una scala a tenaglia per ascendere a fare colazione. Abbiamo studiato un ascensore in vetro che collega più ponti con una scala che ci gira intorno. Dal ponte inferiore puoi vedere il fly attraverso il vano scalo e l’ascensore illuminati dalla luce zenitale che scivola attraverso il grande lucernario.

Render della scala studiata con materiale riflettente.

ph. Seven | Giuliano Sargentini.

ph. Jameel |Toni Nicolini.