Come costruire un’esperienza memorabile con il gelato? Viaggio tra Food & Design insieme all’architetto Enrico Turella e chef Ernst Knam.
Arte e gelato nella luxury hospitality. Il “Re del cioccolato” [anche campione del mondo di gelato] racconta il suo mondo in una intervista a we:ll magazine e ci regala qualche indizio su questa nuova avventura che lo vedrà ancora una volta protagonista.
Un vero colpo di fulmine quello tra l’architetto Enrico Maria Turella, dello studio di architettura e design luoghiCOMUNI – fondato insieme all’architetto Chiara Celidoni – ed Ernst Knam, poliedrico ed eccentrico pastry chef con un amore particolare per l’arte e il design.
“Quando ho incontrato per la prima volta Enrst Knam nel suo laboratorio di Milano ho capito immediatamente che ero nel posto giusto, ho capito che parlavamo lo stesso linguaggio, amavamo entrambi circondarci di oggetti con una storia da raccontare, condividevamo, insomma, i medesimi valori“, spiega Turella. “Anche se in mondi diversi. Trovare le connessioni tra food e design è stata la sfida che ci ha portato nel 2022 a vincere la Foodi’s Challenge con il progetto di sensibilizzazione sul tema del riscaldamento globale Zeitnot“[produzione Struttura Films e regia Carlo Roberti].
Una pazzia? Forse, ma aggiunge chef Knam: “Dove c’è pazzia io dico sempre di sì! Io credo che il mondo oggi abbia bisogno di tornare a comunicare in modo autentico e in questo progetto siamo veramente riusciti a comunicare qualcosa a tutto il mondo”.
“Quella di Zeitnot è stata l’occasione che mi ha consentito di imparare molte cose da chef Knam”, aggiunge l’architetto Turella e, siccome squadra che vince non si cambia, eccoli nuovamente insieme a lavorare a un format totalmente nuovo e inusuale di cui ci hanno svelato alcuni accattivanti indizi.
Tutto nasce da due domande. Cosa cerca in un hotel chi viaggia spesso per lavoro? Come fare a costruire una vera esperienza memorabile? Da questo spunto è partito tutto il processo creativo del nuovo progetto.
“Se torno in hotel stanco dopo una giornata di lavoro, non ho più voglia di uscire”, continua chef Knam Quel che cerco in hotel è un bel bar dove rilassarmi sorseggiando un aperitivo, un bel ristorante dove gustare una buona cena e un luogo accogliente dove scambiare quattro chiacchiere dopo cena”.
Se aggiungiamo a questo assunto la ricerca di sostenibilità attraverso l’uso multifunzionale degli spazi presenti in hotel, abbiamo gli ingredienti fondamentali di questo nuovo concept, che mira a costruire una customer experience che sia veramente unica e memorabile, collegando in modo importante ciascuna struttura con il territorio. In che modo? Chef Knam ci risponde con un esempio. “Poniamo che io mi trovi in una località turistica sul mare, che nell’immaginario collettivo si lega ad alcuni prodotti dolciari specifici, primo fra tutti il gelato”, continua chef Knam che nel suo palmares può vantare anche il prestigioso riconoscimento di Campione del Mondo del Gelato. “Perché non creare all’interno della struttura alberghiera un’esperienza di alta gelateria artigianale, dove offrire all’ospite la possibilità di assaporare gusti classici, ma che, una volta in bocca, esplodano in un tripudio e raccontino da soli la propria straordinaria unicità e semplicità?” Un concept di gelateria che può vivere certamente anche da solo, ma che si sposa perfettamente in un contesto di luxury hospitality.
Un concept tra arte e gelato che rende tattile l’esperienza del gusto.
“Per ottenere un coinvolgimento autentico con i clienti che vada al di là di ciò che si vende, oltre il core business, lavorando per creare la percezione di un’esperienza meravigliosa e memorabile, abbiamo pensato di realizzare un’interazione tra la personalità eccentrica e visionaria di Ernst Knam e l’Arte”, spiega l’architetto Turella.
“L’aspetto artistico è certamente la caratteristica che meglio rappresenta il lavoro dello chef in tutti i livelli della sua produzione, ma è anche e sicuramente l’unica [nonostante tutte le innovazioni tecnologiche a disposizione delle aziende in materia di customer experience] in grado di creare ricordi lavorando su una dimensione più umana a livello sensoriale. Le persone conoscono il mondo attraverso i sensi e l’Arte è in grado di rendere visibile l’invisibile e questo avviene quando la testa, il cuore e la mano dell’uomo vanno insieme, come nel caso del nostro pastry chef Ernst Knam, in grado di far incontrare colore e gusto. Da qui il nostro spunto creativo che tra pennellate vorticose traboccanti di pastosità e colore in rilievo rendono tattile l’esperienza del gusto”.
Innovazione, personalizzazione, essenzialità le parole chiave di questo nuovo concept che lega design e pasticceria.
we. Ma cosa si intende per essenzialità nella pasticceria?
Per esempio eliminare tutti i coloranti artificiali e tornare a fare ricerca sulle ricette tradizionali. In Italia abbiamo un enorme patrimonio di diversità che va riscoperto e protetto. Vivo in Italia ormai da 35 anni, mi considero milanese d’adozione, ho sempre fatto ricerca sulle antiche ricette italiane [da questa ricerca è nato il libro La versione di Knam: il giro del mondo in 80 dolci]. Prendiamo per esempio la torta di mele! Il più classico dei classici, nel mio libro ne propongo una non rovesciata, perché è quella che ogni nonna ha preparato nella sua cucina qui da noi in Italia. Oppure il panettone. Da me in via Anfossi a Milano il primo panettone fa la sua apparizione il 7 dicembre, festività di Sant’Ambrogio, patrono della città, non prima! Il mio panettone è basso con uvetta e canditi, come vuole la tradizione. Possiamo fare altri lievitati naturalmente, anche in altri periodi dell’anno e con altri ingredienti, ma non chiamiamoli panettoni! Questo è quello che io chiamo essenzialità. E se nel decorare le torte capita che un po’ di crema scivoli dal bordo, lasciamola scivolare! Questo è quello che dà valore al risultato finale!
we. Un ritorno alla semplicità e alla tradizione anche a scapito della presentazione?
Io credo fortemente che tutti i sensi giochino nell’apprezzamento di un qualsiasi piatto. Primo tra tutti la vista. L’impiantamento, la presentazione di un cibo sono fondamentali, ci preparano alle esperienze sensoriali successive. Poi viene naturalmente l’olfatto, il profumo del cibo influisce grandemente anche sul gusto, dove la giusta consistenza e la texture dell’insieme fanno la differenza. Ma ciò che va ricercato non è lo stupore momentaneo dei sensi, ma l’esperienza globale, la coerenza del cibo con il benessere del nostro intero organismo. Io dico sempre che un piatto non va giudicato dopo l’assaggio, ma il mattino dopo averlo degustato, quando possiamo verificare se è bilanciato, calibrato, coerente con la funzionalità del nostro corpo.
we. Da qualche anno a questa parte la televisione è entrata nelle vostre cucine. Quanto ha aiutato a dare visibilità alla vostra attività?
Vede, io sono un pasticciere. Ho studiato per diventarlo, ho girato il mondo e ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada il grande maestro Gualtiero Marchesi. ll maestro Gualtiero ha sempre ritenuto fondamentale il settore pasticceria in cucina, da lui ho imparato moltissimo, con lui ho avuto la possibilità di lavorare insieme a grandi chef come Berton, Oldani, Cracco… eravamo una brigata da paura! Solo quando Gualtiero Marchesi si sposta a Erbusco io apro il mio laboratorio di Via Anfossi a Milano. La televisione arriva molto dopo, solo 12 anni fa con Il re del cioccolato, programma che ho rifiutato ben 11 volte prima di capitolare, e sa perché? Perché io non sono un attore, io non voglio un copione da recitare, sono un pasticciere e voglio autenticità, voglio essere me stesso, sempre! Alla fine, ho accettato ma solo a patto che il programma potesse essere realizzato nel mio laboratorio per mostrare il lavoro vero, autentico.
Il nostro è un lavoro bellissimo se svolto con passione, insostenibile se la passione manca.
Per tornare alla sua domanda la televisione ci ha sicuramente dato molta visibilità, ma ha presentato un modello di cucina che non è reale. Spesso incontro giovani che, abbagliati dalla possibilità di diventare grandi chef in breve tempo, chiedono di lavorare in cucina, ma che, messi di fronte al lavoro duro e costante, abbandonano.
we. Cosa ci vuole, secondo lei?
Ci vuole moltissima umiltà, molto studio e molto apprendistato, quello vero, però! Purtroppo, troppo spesso in Italia l’apprendistato è concepito come un modo per avere sgravi fiscali e lavoro a basso costo. In questo senso i nostri cugini di oltralpe sono meglio organizzati e sfornano in 3 anni pasticcieri finiti! In Italia dobbiamo ancora fare molta strada, investire in cultura dei fondamentali, istruire quindi e formare, così facendo si potrebbe anche arginare la difficoltà crescente di trovare personale per le nostre attività.
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In apertura: Laura Verdi, direttore di we:ll magazine, con Enrico Turella ed Ernst Knam sul palco del Cafe del design a Hospitality day. ph. Giorgio Salvatori
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