Banyan Tree AlUla. Un glamping firmato AW².
Un’esperienza memorabile nel deserto dell’Arabia Saudita. Un glamping ecosostenibile a Hegra firmato AW².
Un santuario incantato sospeso nel tempo e nello spazio, un’architettura progettata come un paesaggio. Questa l’essenza del resort situato nella valle di Ashar di AlUla, nel deserto dell’Arabia Saudita, firmato da AW², studio internazionale di architettura e interni guidato da Stéphanie Ledoux e Reda Amalou con sede a Parigi di cui abbiamo pubblicato il Wink Hotel Saigon Center in Vietnam e il Kasiiya Papagayo in Costa Rica.
Parte di Banyan Tree di Accor, marchio alberghiero votato a proporre esperienze autentiche e memorabili, l’hotel si trova a 15 km da Hegra, il primo sito in Arabia Saudita dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
AW² ha adottato un approccio ecologico e light alla progettazione, mirando a fondere il resort con lo scenario naturale di rara bellezza, attraverso spazi leggeri indoor-outdoor.
Tre gli elementi principali dell’area – la sabbia, le rocce e il cielo – che vengono sapientemente declinati nella composizione materica e tattile del rifugio nel deserto: la sabbia è la piattaforma su cui la struttura turistica ha le proprie fondamenta, le rocce sono ispirazione per gli spazi, i tetti a tenda sono il cielo dove gli ospiti sono coccolati e al sicuro.
Il tocco leggero di AW² – incaricato dalla Royal Commission for AlUla (RCU) in collaborazione con l’Agenzia francese per lo sviluppo di AlUla (AFALULA) – si esprime attraverso le strutture sostenibili che compongono il resort: sono 47 nuove suite a tenda con dimensioni variabili da una a tre camere da letto.
Ogni suite dispone di un patio, un caminetto esterno e una piscina privata. Sono state utilizzate diverse tele color sabbia per creare una ventilazione naturale, oltre a fornire protezione solare.
Il design degli interni è un’interpretazione moderna dello stile di vita beduino. I colori del deserto si riflettono nella palette cromatica utilizzata in tutto il progetto: una tavolozza di colori marrone-sabbia, ispirata al paesaggio desertico.
I mobili in legno scuro su misura e i pezzi d’antiquariato di ispirazione araba realizzati a mano che caratterizzano gli interni sono abbinati a motivi decorativi che richiamano le tradizioni dei Nabatei, popolo di commercianti dell’Arabia antica.
Come per tutti i progetti AW², il team di progettazione si è concentrato sull’esperienza degli ospiti. Un fattore chiave che doveva essere affrontato era la grande scala del sito, e il design è stato attentamente considerato per garantire che le persone non si sentissero sopraffatte, pur godendo di viste spettacolari. Privacy e riparo vanno quindi di pari passo attraverso un ambiente intimo con viste mozzafiato tra dune e rocce incorniciate in modo distinto per ogni ospite.
Le aree comuni, le cui facciate sono state realizzate con mattoni di terra compressa, comprendono una spa e due ristoranti: Saffron, di ispirazione thai, e Harrat, locale più casual gestito da chef locali, che utilizzano ingredienti freschi e di stagione provenienti direttamente dalle fattorie sostenibili di AlUla.
Vi è anche una piscina di grande impatto collocata in una fessura naturale nella roccia, che richiama l’uadi, i canyon tipici della zona colmi d’acqua durante i periodi di pioggia.
Nel paesaggio del resort sono state inserite piante locali, una scelta progettuale sostenibile che si è concentrata su specie endemiche originarie del clima desertico. Gli architetti hanno utilizzato tecniche di raccolta dell’acqua per indirizzare l’acqua piovana verso micro-giardini di raccolta per sostenere la vita vegetale sul sito. I giardini forniscono anche una protezione dalle inondazioni durante i mesi di forti precipitazioni, quando nella regione possono verificarsi alluvioni improvvise.
Reda Amalou e Stéphanie Ledoux, partner di AW², spiegano: “Il nostro concept prevede di sfruttare la bellezza naturale del paesaggio con un progetto che si integra perfettamente nel sito, un progetto adattato e adattabile alle specificità culturali, storiche e naturali di Ashar. La nostra architettura risponde alla fragilità del sito di Ashar e mira non solo a ripristinarlo, ma anche a proteggerlo da danni futuri, affrontando consapevolmente l’equilibrio tra uomo e natura”.
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