Una sintetica riflessione per tentare di favorire una svolta, concreta e coinvolgente nello sviluppo del turismo di destinazione. Abbiamo individuato grandi processi dell’economia turistica che potrebbero essere allo stesso tempo materia prima di lavoro e assi d’intervento e di scopo della ricercata politics condivisa e necessaria.

Che cosa ha messo a nudo la crisi del 2020? Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo. A distanza di qualche tempo, analizziamo alcuni fatti relativamente nuovi che possono aiutare a riflettere.

Due anni d’impatto della pandemia da Covid-19 hanno aggiunto, a quei problemi, un aspetto divenuto prioritario nel marketing mix come il fattore safety nel turismo, con una forza intrinseca anche maggiore di quanto la brutalità del terrorismo, dalle Twin Towers al Bataclan, impose nei vent’anni precedenti la pandemia con la nuova security nei viaggi, che oggi è uno standard consolidato. Sul fattore safety, per esempio, un’importante e ricca destinazione come Israele ha costruito una strategia di accoglienza.

L’amico e collega Antonio Pezzano, con la forza dei dati, centra inequivocabilmente il nodo del cambio di pratica della domanda. Su Officina Turistica scrive e ribadisce che “Dalla villeggiatura al week end potrebbe essere il titolo perfetto per descrivere il modo in cui sono cambiante le nostre abitudini di vacanza negli ultimi cento anni. Le vacanze brevi sono diventate la forma prevalente di viaggio leisure.”

I giorni di vacanza in tutte le città turistiche si sono frazionati, ridotti e redistribuiti. È così in Italia e in tutta Europa, solo Londra pare fare eccezione.

Come avvenuto in più settori forti del Made in Italy, il turismo d’alta gamma sta mutando proprietà e soprattutto “ponte di comando”. Per esempio, nell’articolo Gli investitori stranieri puntano sugli hotel italiani si legge che “nel 2019 secondo uno studio di Ernest&Young (…) nel settore dell’ospitalità si erano concluse operazioni per 3,3 miliardi, in crescita del 158% rispetto all’anno precedente. Già l’anno scorso l’83% delle transazioni era stata completata da capitali stranieri, contro il 45% registrato nel 2018. Nel 2019 sono passati di mano 91 hotel e 11.400 camere. Secondo i dati di Gabetti, a livello geografico la quota principale del capitale investito è riconducibile a Venezia (20,8%), seguita da Roma (14,4%) e poi Catania, Milano, Firenze e Genova tutte con quote tra l’8% e il 10%.”

Fortunatamente non è in discussione l’italianità dei contenuti di offerta, che anzi è uno dei motivi forti dei passaggi di proprietà, bensì è il ponte di comando dell’hotellerie Made in Italy che cambia senso e allocazione, emigrando progressivamente a Londra o a Parigi o negli States.

Altri due fatti emblematici e similari di politics turistica devono far riflettere i decisori pubblici e privati del turismo italiano a tutti i livelli, a cominciare dalle destinazioni balneari tradizionali a quelle glamour come Sardegna, Puglia o arcipelago toscano.

Il primo fatto è il patto tra il gruppo tedesco TUI e la sua Care Foundation con il Governo greco per an innovation ‘lab’ to test and share ideas to make tourism more sustainable che via via coinvolgerà la maggior parte degli operatori delle isole maggiori dell’Egeo e che si aggiunge al controllo dei 18 maggiori aeroporti greci da parte del grande hub aeroportuale di Francoforte.

Il secondo fatto, noto dalla fine dell’estate scorsa, riguarda una destinazione leader del Mediterraneo come le Baleari – circa 2 volte e mezzo le presenze turistiche della Sicilia, ma con estensione territoriale e risorse oggettivamente inferiori – che hanno adottato sustainability laws per cambiare le prossime vacanze, destinando un investimento considerevole di 55 milioni di euro on a new tourism initiative – putting sustainability at its core.

In Italia, fatta l’eccezione per il Trentino che peraltro non è destinazione balneare, purtroppo non troviamo traccia di queste “politics” e pratiche.

Certo il Trentino, assieme agli altri grandi brand dell’offerta alpina e di montagna, con la progressiva estinzione della neve naturale al di sotto dei 1.200-1.500 metri di altitudine, ha a sua volta un fatto altrettanto notevole da affrontare.

Concludiamo questa breve rappresentazione non con la constatazione che larga parte dei fondi PNRR targati turismo – 1,8 miliardi di euro su 2,4 – sono in realtà risorse finalizzate alla supply chain, bensì con un ultimo fatto strategico ancora più rilevante per un’economia dei servizi nella quale le persone e le competenze sono decisive.

Il fatto è che circa 500 mila imprenditori e manager delle PMI turistiche, oltre 4 milioni di lavoratori nella filiera allargata, più di 500 docenti e ricercatori dell’alta formazione nelle università pubbliche e  private insieme con migliaia di docenti degli oltre 300 istituti professionali e dei 13 ITS Turismo, sono a loro volta senza politics e/o guidati solo dalla sensibilità, competenza e tenacia dei singoli.

Ha senso tutto ciò?

L’impressione è che siamo immersi nel caos, più o meno supposto o percepito.

Tuttavia, il dato di fatto è che siamo sempre meno arbitri del nostro destino e che il turismo italiano sembra pressoché acefalo, al netto dell’impegno delle singole persone e organizzazioni.

Nell’imminenza di fenomeni quanto meno disruptive quali Artificial Intelligence – anzi “Incoscienza Artificiale” come l’ha ben argomentata l’ottimo Massino Chiriatti nel libro omonimo -, Blockchain, Non-fungible Token (NTF), Metaverso, etc. e ancor più, pensiamo, l’impatto del climate change che potrà colpire direttamente il turismo italiano e quello Mediterraneo nei prossimi anni come argomentato nel recentissimo rapporto Cambiamenti climatici, infrastrutture e mobilità del MIMS , opteremmo per avere una strategia-paese. Secondo tale rapporto, entro il 2050 gli arrivi turistici nel Mediterraneo e in Italia rischiano di ridursi fino a -21% a causa dei cambiamenti climatici, in particolare per l’aumento della temperatura [fino +4 gradi].

Una nuova politics condivisa, finora largamente assente come abbiamo narrato. Da dove cominciare per generare, anche dal basso, una strategia all’altezza dei fatti?

Nel caos immersivo che stiamo vivendo, la teoria dei processi, che si usa normalmente per dare senso e nuova direzione ai sistemi organizzativi, anche a quelli più complicati, può essere di grande aiuto.

Per esempio, iniziando a identificare e a razionalizzare sei grandi processi dell’economia turistica che potrebbero essere allo stesso tempo materia prima di lavoro e assi d’intervento e di scopo della ricercata politics condivisa e necessaria.

I 6 grandi processi dell’economia turistica, tutti innervati di digitale, ma che appaiono senza guida sono:

  • la trasformazione della domanda e delle modalità di programmazione di viaggi e vacanze
  • la conseguente modificazione dell’offerta e dei modelli organizzativi di imprese e destinazioni
  • il non-fare-destinazione in senso compiuto, strutturato e contemporaneo
  • la ridotta considerazione del fattore capitale umano turistico
  • la rimozione assurda e autolesionista dell’emergenza climatica (come quantificato nel citato rapporto del MIMS)
  • infine, drammaticamente, il non-fare-ricerca in modo strategico, ampio e condiviso come avviene negli altri principali settori economici del paese.