Come l’utilizzo scellerato dei social ha contribuito ad agevolare la crisi nel mondo dell’ospitalità.

Mi ero ripromessa di non parlare più di lockdown, Covid-19 e compagnia bella. La gente non ne può più, mi dicono. Ed è vero. Ma è vero anche che una crisi del genere è una prospettiva considerevole da cui osservare i comportamenti e la capacità di reazione del nostro settore. Non ne avevamo vissute di simili prima d’ora e speriamo di non viverne mai più. Si tratta di un evento talmente straordinario che è impossibile non analizzare il modo in cui si stato vissuto dagli operatori, anche e soprattutto per trarne insegnamenti per il futuro.

Come sostenuto in un precedente articolo, durante il lockdown molti albergatori, operatori turistici e destinazioni hanno cominciato a comprendere l’importanza dei social per comunicare l’ospitalità e, soprattutto, hanno cominciato a utilizzarli con frequenza (e speriamo che non si sia trattato di una tendenza passeggera). Il problema è che, in molti casi, l’uso che ne è stato fatto si è dimostrato a mio avviso controproducente. D’altronde, quando per anni si sottovaluta uno strumento, non si può pretendere di cominciare a utilizzarlo in maniera virtuosa da un giorno all’altro. Né aspettarsi miracoli.

I miracoli poi sono accaduti, ma al contrario. Si è passati da una diffusa incertezza iniziale – cosa pubblico? Parlo della crisi o faccio finta di niente? Mi si nota di più se scrivo o se mi chiudo in un tombale silenzio? – a una pericolosa e compulsiva sicumera in fase di riapertura. E dire che mai come in questo frangente sarebbe stata utile una buona pianificazione dei contenuti. Ma andiamo con calma e passiamo in rassegna le variegate e sempre bizzarre tipologie di atteggiamento adottate.

Il negazionismo

#cittàacasoNONSIFERMA. Dopo mesi di silenzio sui social, pagine e profili di destinazioni turistiche – con gli esercenti al seguito a fare loro eco – hanno negato il problema senza nemmeno avere idea di cosa stessero parlando. E giù foto di assembramenti, aperitivi, abbracci, cene in compagnia. Una grande abbuffata di convivialità e figure scatologiche per le quali siamo stati costretti a scusarci con l’intero mondo. Risultato? Abbiamo dato l’idea di essere un Paese totalmente irresponsabile e superficiale di fronte alle emergenze. E siamo andati a comunicarlo ai potenziali turisti sui social. D’altronde chi ben comincia è a metà dell’opera. Ma la domanda vera è: dove eravate prima? Perché avete tenuto nascoste le belle immagini di città vive e dinamiche per poi pubblicarle nel momento in assoluto più sbagliato della storia?

Lo struzzismo

Dopo tutto il pandemonio di cui sopra, evidentemente a corto di contenuti e di empatia, in tanti hanno continuato a condividere fotografie di mari, montagne, tramonti, laghi e colline come se niente fosse. Come se gli hotel fossero aperti e non fosse cambiato niente, al grido di quando tutto questo finirà, i turisti dovranno tornare. Certo, ma magari in quel preciso momento i potenziali turisti avrebbero preferito un altro tipo di comunicazione. Per esempio la condivisione vera di come le destinazioni e le strutture stessero vivendo la crisi. Perché condividere non è soltanto cliccare sul tasto share. Ma sono parole al vento: il giorno in cui in Italia si capirà che il ruolo dei social non è quello della vetrina o dell’album fotografico sarà sempre troppo tardi.

L’elemosina

Un’altra amena fase è stata quella in cui sono cominciati a circolare post pietosi in cui si chiedeva di venire a visitare l’Italia, paese do sole, con l’unica motivazione della crisi generata dalla pandemia. Manco fossimo terremotati. Manco i turisti fossero delle onlus. Come far perdere valore a una destinazione con un clic.

L’effetto RIS

Il bello, però, è arrivato al primo accenno di possibile riapertura. Non avevo mai visto tanti scafandri dai tempi di Ghostbusters. Va bene comunicare la sicurezza e l’avvenuta sanificazione – peraltro obbligatoria – ma che tipo di ospitalità hanno creduto di trasmettere tutti quelli che hanno condiviso fotografie del personale bardato come un esercito di RIS, intento a pulire a fondo camere e ambienti (che invenzione la pulizia!)? Più che vacanze, hanno fatto venire in mente scene del crimine. Continuiamo così, facciamoci del male.

Le intimidazioni

Last but not least, nei giorni di riapertura invece che a messaggi positivi, a immagini dello staff sorridente e pronto ad accogliere di nuovo gli ospiti, abbiamo assistito alla pubblicazione di liste di regole degne più di un ordinamento penitenziario che di una struttura ospitale o di una destinazione a vocazione turistica. Divieti, norme, prescrizioni al limite del minaccioso. Ma perché? Il rispetto delle regole è obbligatorio per tutti, gli ospiti lo sanno. E comunque avreste potuto comunicarglielo in maniera meno intimidatoria e più accogliente.

Come al solito, si è persa l’occasione di comunicare sui social in maniera adeguata, cosa che invece hanno saputo fare molto bene certi paesi e territori. E siamo riusciti nell’incredibile intento di dare una mano alla crisi.