
Vieni avanti DINK.
Oggi il target realmente attrattivo per gli hotel e i ristoranti, quello che può rendere profittevole e non asfittica l’impresa, quello che può dare soddisfazioni anche intangibili è costituito dai DINK. Scopriamo chi sono e cosa pensano del “value for money”.
DINK è acronimo (born in USA) che sta per Dual Income No Kids: le coppie dove lavorano marito e moglie e costoro non sono genitori, non hanno figli. A farla breve è quella fetta di ceto medio che possiamo considerare, visti i tempi grami, gli alto spendenti attuali.
A fianco di costoro ci sono le coppie il cui Dual Income è costituito da due più che dignitose pensioni e il cui No Kids è da intendere “non è che non abbiamo avuto figli, ma adesso costoro sono adulti e vivono per conto loro” e magari, aggiungiamo, sono in procinto di essere i prossimi nuovi DINK. Ecco, i DINK senior, insieme con i DINK propriamente detti, costituiscono il target italiano per il leisure travel e quindi per l’hospitality. D’ora innanzi, per comodità espositiva, diremo DINK per intendere entrambi i segmenti.
Una risorsa facilmente accessibile perde d’appeal.

I DINK sono attenti al proprio lavoro e alla carriera non solo per trarne soddisfazione professionale e autostima ma anche per potersi così consentire un tenore di vita fatto di cene fuori, vacanze in albergo e vari capricci e piaceri nella vita di tutti i giorni. Se i DINK possono permettersi le vacanze in albergo, allora l’hotel in sé, essendo risorsa facilmente accessibile, perde appealing per definizione. E qui sta l’originalità dell’approccio dell’albergatore per rendersi attrattivo verso i DINK.
Il prezzo cessa di essere l’elemento che discrimina, sebbene il denaro permanga fattore molto importante nel processo di scelta. C’è contraddizione? Assolutamente no! Stiamo semplicemente assistendo a una nuova costruzione paradigmatica del perché (e come) i DINK individuano l’albergo dove trascorrere la (prossima) vacanza.
Il range del budget di spesa è abbastanza ampio, e già questo è un indizio. In breve, siamo al superamento della domanda “quanto mi costa?” e siamo in procinto di formulare la domanda “quanto mi rende?”. Molto si gioca qui. Ma le due domande sottendono risposte non complanari.
Mentre la risposta alla prima domanda la si esprime in definitiva mediante un numero a cui associamo il simbolo euro e quindi quel numero diviene un importo, la risposta alla seconda domanda è liquida: bisogni, desideri, aspettative, volontà esplicite, ma nulla esprimibile mediante un numero.
La risposta alla prima domanda, quella che i DINK neanche più formulano, la fornisce l’albergatore. Ma la risposta alla seconda domanda, siamo al paradosso apparente, la fornisce lo stesso soggetto che ha formulato la domanda!
Da qui, l’importanza della narrazione. Insomma, se la mettiamo sul piano paradigmatico delle qualità, ritroviamo i tre elementi cruciali: c’è la qualità attesa, c’è la qualità erogata e c’è la qualità percepita. La qualità attesa è pertinenza esclusiva dei DINK. La qualità erogata è pertinenza esclusiva dell’albergatore.

Dove si gioca il tutto è sulla componente “qualità percepita” che è, diciamolo apertamente, componente capricciosa e birichina per come è quella che maggiormente è la risultante degli asset intangibili e, di più ancora, è il frutto degli insights sia dei clienti sia degli albergatori.
Coccole più che gradite, con clienti in estasi, quando l’albergatore riteneva che con quell’attenzione stava solo più agendo “al minimo contrattuale” e viceversa nuances sgradite e/o mal tollerate quando l’albergatore credeva invece di prodigarsi al massimo della serie… qui gioisci, caro cliente, per quanto ti sorprende felicemente ciò che trovi in camera, l’amuse-bouche della cena, il piccolo gadget al check-out e via così…
Il successo risiede in larga misura su quanto piccolo, tendente allo zero, è il displacement tra qualità attesa, qualità erogata e qualità percepita. Con valore aggiunto qualità erogata = qualità percepita ed entrambe (dacché sono pressoché uguali) maggiore di qualità attesa.
Manca però il terzo elemento, che poi è la chiave di tutto.
È quell’elemento di saggezza che nel far ritenere obsoleta e fuorviante la domanda “quanto costa?”, sostituita dal “quanto rende?”, genera la considerazione finale. Stiamo parlando del “value for money”.
I DINK sono ben propensi a porre enfasi a questo fattore basilare. Alla fin fine, avendo comunque il “value for money” come driver del giudizio complessivo e quindi del desiderio di rivivere l’esperienza, di raccontarla in positivo agli amici e sui social, di fungere praticamente da referenti attivi, è funzione del sorgere o meno del seguente pensiero: “a non averla vissuta, questa deliziosa esperienza cognitiva ed emozionale, ci sarebbe costato certamente di più!”.
Prendere atto di ciò, allo scopo di essere attrattivi verso i DINK, è atto da cui l’albergatore non può prescindere.
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In apertura, ph. Leo Arslan, Pexels.
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