Gli aumenti dei prezzi degli hotel in occasione di particolari eventi sono da considerarsi fisiologica normalità o ladrocinio senza passamontagna? E quanto è sottile il limite tra un’oculata attività di revenue management e dinamiche predatorie che rischiano di danneggiare la destinazione e la brand reputation degli alberghi stessi? Facciamo qualche riflessione.

Il tema è scottante. In questo periodo più di un organizzatore di eventi ha manifestato pubblicamente le proprie rimostranze in merito a un aumento dei prezzi degli hotel ritenuto esagerato proprio in concomitanza con gli stessi eventi, obbligando i partecipanti a sborsare cifre anche di sei-sette volte superiori alle tariffe che gli stessi hotel applicano nel resto dell’anno. Ma è proprio così?

Qualche volta il problema è la guerra dei prezzi al ribasso, qualche volta è l’esatto contrario.
Parlando con molti albergatori e sbirciando le tariffe su siti e portali, si nota che i prezzi degli hotel, in particolare in concomitanza con specifici eventi, subiscono delle oscillazioni davvero tanto importanti. Fino a qui, tutto bene. Forse. Bisognerebbe però interrogarsi sul perché sia possibile applicare certe tariffe e come questo si rifletterà sul futuro.

Abbiamo offerto maggiori e migliori servizi? Abbiamo messo a disposizione alberghi rinnovati e dal maggiore appeal? O, più probabilmente, l’ospite non aveva altra scelta e varcherà la soglia della struttura digrignando i denti, carico di odio e già sul piede di guerra? E che impatto avrà questo sulla reputazione di alberghi e destinazioni? Gli ospiti saranno contenti di aver pagato di più a fronte di una qualità di servizi pari a quella del giorno prima, quando il prezzo era sensibilmente inferiore? Saranno disposti a tornare alle stesse condizioni? Abbiamo fatto qualcosa per fidelizzarli? Non vorrei che l’atteggiamento fosse in stile prendi i soldi e scappa, approfittando di una situazione piuttosto favorevole senza fare niente per capitalizzarla in vista del futuro.

Ho paura che questa schizofrenia di prezzi non porterà niente di buono per il prossimo futuro e per la percezione della qualità delle destinazioni. E soprattutto spero che questi “record di incassi” di cui tanto si vantano gli albergatori alla conclusione di ogni evento vengano investiti in ammodernamenti delle strutture, in formazione, in qualità dei servizi e, per gli stagionali, in attività volte ad allungare la stagione. Perché non è detta che una seconda volta i clienti che sono stati letteralmente presi per il collo siano disposti a soggiornare alle stesse condizioni. E, soprattutto, bisogna cominciare a entrare davvero nell’ottica che il prezzo del soggiorno non ha mai a che fare soltanto con la tariffa finale, ma che nel prezzo si riflettono moltissime caratteristiche e, soprattutto, le aspettative dei clienti.

Siamo stati davvero in grado di soddisfarle, al punto di poterci permettere di quintuplicare i prezzi?

È ovvio che in condizioni di alta domanda si lavori sul principio di scarsità e si aumentino i prezzi delle camere. Ma mi domando quale credibilità possa avere un hotel – ma a volte si parla anche di dormitori – che oggi vende a 50 e domani a 400. Quale immagine si offre al cliente, se non quella di volerlo spennare e poi mandare a casa? E no, questo non è revenue. Il revenue management lavora su una strategia ragionata e calendarizzata, oltre che integrata. Questa non è che una visione estremamente semplicistica e distorta del revenue management. Esasperata e molto, molto miope.
E no, questo non è revenue. Questo è quello che qualcuno ha voluto capire del revenue.