Il servizio in tavola. Sette esempi per renderlo spettacolare.
Servizio spettacolare. Non necessariamente con spettacolo. Succede in sala, in tavola. E, se succede, è un successo. Parliamo di quando il servizio trova un elemento spettacolare che trasforma la food experience. Per riuscirci non è necessario imbastire uno spettacolo o un teatro (però forse un anfiteatro sì). A volte, basta un dettaglio. Sette esempi che possono diventare ispirazione.
Il vero argomento di questo articolo è la progettazione ed esecuzione di un’esperienza di servizio che vada oltre il puro servizio. Che non lo complichi. Che sia spettacolare. Che sia replicabile con clienti diversi e con pari successo. Che inneschi nuovi gesti. Che cambi la destinazione d’uso di oggetti esistenti. Che scopra spunti originali.
Certo, in altri tempi, l’elemento spettacolare al ristorante era la coreografia dei camerieri o le cloche sollevate simultaneamente. Più di recente, il finissage del piatto compiacente alle dirette social. Ormai moltissimi camerieri e maître sanno quando iniziare a versare la salsa sul piatto: quanto la telecamera è pronta a filmare.
Ma oggi è oggi ed ecco alcuni spunti concreti di spettacolarizzazione del servizio, fulminanti esempi osservati sul campo. Chissà che qualcuno di questi non contenga in nuce l’idea per lo spettacolo che non abbiamo ancora ammirato.
Cambiare scala.
È il caso di qualcosa di gigante che cambia proporzioni e appare destando stupore. Come l’Arena-carrello per la petite pâtisserie del ristorante Iris dello chef Giacomo Sacchetto presso Palazzo Soave a Verona. L’anfiteatro-icona della città, un dettagliato modellino in scala e su ruote, mette letteralmente in scena l’ultima portata per un commiato tra gli applausi.
Innescare nuovi gesti.
Un oggetto bizzarro, quasi da laboratorio, dà vita a un gesto inedito per un’esperienza sensoriale come bere l’aria di un fiore. Non è una stoviglia, non è un bicchiere. È la pipetta in vetro dove frizza l’estratto di iris dal tenue colore rosato. Si deve sorbire dal condotto sottile dopo averne mangiato il coperchio. È il “Mangia e bevi Iris”, stesso ristorante di cui sopra.
Riprodurre il paesaggio.
Un piatto – in questo caso un dolce al cucchiaio – che è il carattere stesso del paesaggio locale, riprodotto nelle sue forme geologiche e nei suoi colori. È il caso dell’iconico dessert creato anni fa da Gianni Dezio per il ristorante Tosto di Atri, in provincia di Teramo. Il colore argilloso dei calanchi? Ottenuto con la liquirizia, altra eccellenza abruzzese.
Illuminare un assolo.
Buio intorno. Riflettori puntati su una preparazione insolita. Mani dello chef all’opera sulla materia. Commensali che si alzano dal tavolo e si avvicinano a guardare lo spettacolo per happy few. Come a Milano al Moebius Sperimentale, ristorante nel ristorante, dove lo chef Enrico Croatti ha scodellato una ricottina dal cavolfiore, accarezzata da crema di mandorla e caviale.
Accumulare.
Un tavolo che si popola all’improvviso di oggetti. Si accumulano arrivando uno dopo l’altro davanti all’ospite. Ma non è come capita con amuse-bouche e dolcetti: qui sono giocattoli vintage che quasi animandosi diventano supporti e contenitori di un dessert composito: è “La stanza dello scemo” by Emanuele Petrosino al Bianca Relais sul lago di Annone in Brianza.
Scambiare le dimensioni.
Di solito il menu è bidimensionale: un foglio, un pieghevole, un libretto con copertina. Di solito una scatola contiene un cadeau. Invece all’Osteria Tre Gobbi nel centro storico di Bergamo, il menu è (in) una scatola elegante, che l’ospite è invitato ad aprire e scoprire. Dal menu in un oggetto tridimensionale alle dimensioni sensoriali dell’esperienza culinaria.
Miniaturizzare come per le bambole.
Last but not least, uno spunto legato al servizio dell’olio che, quando non è subito offerto sul pane, viene versato in piattini-bicchierini-ciotoline-vassoi ondulati… Invece LongEvo, sistema di spillatura dell’olio EVO sotto azoto, gioca su una caraffina miniaturizzata a misura di bambola. È poco? È una quantità ideale, senza sprechi, per capire se è un buon extravergine.
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ph. Daniela Ferrando, Ary Zanetti.
In copertina i Calanchi di Atri.
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