L’eunuco dell’harem, il vino dealcolato e il buon senso. La situazione in Italia a poche settimane dall’entrata in vigore del Codice della strada. Come sono cambiate le nostre abitudini al ristorante? Scopriamolo sotto le tre lenti di ingrandimento di Vincenzo D’Antonio.

A cogliere gli “early warnings”, i cosiddetti segnali precoci, non bisogna essere particolarmente bravi, si tratta solo di tenere ben posizionate le antenne ed essere propensi a leggere episodi e mutamenti apparentemente piccoli. Siamo al cospetto di un cambiamento epocale, per la lettura del quale ci gioviamo di tre lenti.

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Prima lente.

Siamo arrivati al “basta, non ne possiamo più”. Grido colpevolmente inascoltato che è stato ripetutamente lanciato da quanti, schiettamente propensi a bere vino nei momenti di amena e gioiosa convivialità, si sono visti accerchiati da templari: casta sacerdotale composta da sommelier e da altri esperti – sovente per mera autoreferenza – di vino. E giù profluvi di comandamenti su come lo si assaggia, come lo si beve, con cosa lo si abbina e via a redigere improbabili schede organolettiche dove i sentori agrumati sfociano in spiccata e piacevole acidità con un sorprendente finale lungo.
Scenario durato decenni, e ci sono volute le giovani generazioni per trovare il coraggio di dire basta a queste laiche liturgie, a queste barcollanti dottrine, a queste cattedre dove frotte di sedicenti esperti si erano assisi per oracolare.

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Le giovani generazioni hanno fatto una cosa molto semplice: giustamente considerando che a causa di questa sovrastruttura ideologica il vino è diventato “lento”, ce ne allontaniamo da esso e ci orientiamo verso un bere “rock” dove per portare il bicchiere alle labbra non è che abbiamo dovuto frequentare corsi e master: beviamo, ci piace, brindiamo a noi, e via così.
Scientemente, ci asteniamo dall’evidenziare altri non secondari fattori concorrenti. Giusto un cenno: l’esorbitante prezzo del vino al ristorante, che necessita di trattazione a parte.

Seconda lente.

A catalizzare il fenomeno appena descritto ha contribuito di suo un sano mutamento tendenziale che impatta globalmente su tutti noi e che definiremmo, termine non certo originale, “salutismo”. I cibi grassi fanno male, il fumo uccide, l’alcol è nocivo. Tutto vero, posto che non si ometta un dettaglio fondamentale che sintetizzeremmo così: “l’eccesso di…”. Non per nulla, la saggezza dei nostri Padri recitava che… est modus in rebus!
Eccedere in alcol è sicuramente nocivo, ma non è dettame della dieta mediterranea un bicchiere di vino rosso al giorno? Quindi, della serie rimediare a un errore (il consumo eccessivo), commettendo l’errore opposto (non bere neanche un goccio), piuttosto che trovare equilibrio, ha contribuito e sta contribuendo al mutamento epocale.

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Ma non finisce qui! Ci voleva, onde generare ulteriore confusione, il dibattito tra gli addetti ai lavori sul tema “vino dealcolato”. Con una nuova legge entrata in vigore da pochi giorni è possibile dealcolare in Italia. Il ministero dell’Agricoltura ha infatti autorizzato la produzione di vini dealcolati, cioè con un tasso di alcol molto basso o senz’alcol. Si profetizza che il vino dealcolato non avrà successo nel nostro Paese e però lo avrà sui mercati esteri. Sia come sia, la prima cosa da fare sarà assaggiarli questi vini dealcolati perché, se c’è una cosa su cui concordano i curiosi, gli entusiasti e gli scettici è che i vini dealcolati “sono una cosa diversa”, che con il vino propriamente inteso avranno davvero ben poco a che spartire.

Però i gusti cambiano, il mercato pure e, con le disposizioni attuative pubblicate dal ministero dell’Agricoltura, via libera, almeno in teoria, al vino dealcolato prodotto in Italia. Insomma, in cantina, dotandosi di appropriato e costoso impianto (intorno ai 300mila euro), si potrà privare dell’alcol il vino prodotto (ma non DOC e DOCG) e chiamarlo comunque vino. Ci sovviene Flaiano: “la situazione è grave ma non seria”. Troppo il timore di cadere nel politicamente scorretto e grande la paura di misunderstanding, peccato! Perché altrimenti oseremmo paragonare il vino dealcolato all’eunuco dell’harem. Ma se lo dicessimo saremmo tacciati di volgarità e quindi pavidamente ce ne asteniamo. Stiamo mettendo una toppa che risulterà peggiore del buco. Stiamo chiudendo la stalla dopo che i buoi sono scappati.

Gaiamente pensiamo che le generazioni Y e Z, in fuga dal vino, faranno dietrofront, magari anche con pubblica abiura, quando sapranno che esiste una bevanda a zero o bassa gradazione alcolica che si chiama vino ma vino non è!

Terza lente.

Prima di parlarne, e magari parlarne a sproposito commettendo strafalcioni, prendiamoci la briga di leggere stralci del Codice della strada.

È vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche. Le sanzioni in caso di guida in stato di ebbrezza sono diverse a seconda della soglia di tasso alcolemico superata.

Tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l):

  • sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 543 a euro 2.170;
  • sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
  • decurtazione di 10 punti della patente.

Tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro:

  • sanzione penale e ammenda da euro 800 a euro 3.200 (aumentata da un terzo alla metà nei casi di guida in stato di ebbrezza accertata tra le ore 22 e le ore 7), l’arresto fino a sei mesi;
  • sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi a un anno;
  • decurtazione di 10 punti della patente.

Tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro:

  • ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 (aumentata da un terzo alla metà nei casi di guida in stato di ebbrezza accertata tra le ore 22 e le ore 7), l’arresto da sei mesi a un anno;
  • sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. O da due a quattro anni quando il veicolo appartiene a persona estranea al reato;
  • decurtazione di 10 punti della patente;
  • revoca della patente in caso di recidiva nel biennio;
  • revoca della patente in caso si provochi un incidente;
  • confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato.

Onde non farci prendere dal panico, non andiamo oltre e quindi non ancora parliamo dell’alcolock, il dispositivo che impedisce l’avvio del motore nel caso in cui rileva alcool nell’espirato del conducente e che deve essere regolato sulla base del valore soglia pari a 0,0 g/l. Non si tratta di un sistema che agisce autonomamente rilevando automaticamente il tasso alcolemico del guidatore, ma di uno strumento che deve essere attivato da quest’ultimo dando avvio alla procedura di misurazione. Comunque, al momento l’alcolock non è applicabile. L’efficacia delle nuove disposizioni relative all’alcolock è subordinata all’adozione di un decreto del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con il quale saranno determinate le caratteristiche, le modalità di installazione e le officine che potranno installare il dispositivo stesso.

Adesso che, magari con poco simpatica pedanteria, abbiamo fatto parlare il “codice della strada” e non il “per sentito dire”, azzardiamo qualche riflessione.

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La deterrenza è indubbia ed è forte. La deterrenza ad andare a cena in ristorante raggiungibile solo in auto. Una volta che ci andiamo comunque, chiaro è che si beve poco vino. E non è che beve poco vino solo chi guiderà l’auto sulla strada del ritorno. Scatterà una sorta di solidarietà: tutti morigerati, tutti ben al di sotto dei due calici, chiaro?! Questo, adesso, a pochi giorni dall’emanazione delle nuove norme. E cosa un domani? Quando si scoprirà che i controlli sono rari, pressoché inesistenti in quanto le pattuglie della polizia stradale quelle sono e quelle sono. Ci si ripromette di tornare su questo tema.

Tre lenti di diverso spessore, tutte e tre volte ad agevolare la lettura di quello che abbiamo definito cambiamento epocale nell’approccio al vino. Situazione tragica, quindi?! No! E perché mai?

Si tratta di ripensare il business model sia per i produttori di vino, sia per i ristoratori. Non è cimento arduo. Diviene arduo e complicato se, diciamocelo apertis verbis, costoro non vorranno cogliere quei warning che oramai da precoci sono diventati stabili e cogenti. La vera preoccupazione, sarà pure una frase fatta, ma qui funziona benissimo: non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

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In apertura, ph. Holgi, Pixabay.