La forma fisica conta. Anche quella del menu.
Tra i due estremi immateriali del menu QR-code e il menu a voce, ci sono tutti i menu scritti, cartacei e non. Un universo da esplorare. Perché la forma del menu influenza il cliente, lo scontrino e la food experience totale.
Intanto, una questione di forma ortografica. “Menu” è preferibile senza accento – anche se in italiano “menù” è ammesso – perché deriva dal francese “menu”, cioè la minuta, la lista scritta delle portate che un tempo il capocuoco (o chi per lui) compilava per il padrone di casa.
Peraltro, Auguste Escoffier precisa che “menu” indica sia le pietanze e portate che compongono il pasto, sia il cartoncino su cui queste sono scritte. Cioè l’argomento di questo articolo.
Sta di fatto che quanto più alta è la cura del menu, tanto può crescere la scelta del cliente e di conseguenza la sua disposizione a spendere e a valutare positivamente l’intera esperienza a tavola.
Il menu QR-code.
Pratico, pulito, immateriale. Forte durante l’era Covid, adesso meno, per la seccatura di estrarre il telefonino, aprire e/o salvare la videata, consultarla durante il pasto. Più adatto ai locali easy e ai fast food, altrove il menu QR-code è percepito come una soluzione se non cheap, un po’ sbrigativa.
Il menu calligrafico.
Bellissimo. Impegnativo. Ci sono ancora oggi menu scritti a mano o sono solo patrimonio delle più belle collezioni a tema? Assoldare un calligrafo-artista per vergare menu unici si può. Un menu calligrafico è come un pezzo one-of-a-kind, che il cliente vorrà tenere per ricordo.
Il menu per un solo cliente.
A volte un cliente mangia diverso, ma il menu non lo dice. A me, non carnivora, è capitato al ristorante La Gioia (è giusto fare il nome) in zona Brera a Milano di ricevere una variante di menu dell’evento stampata soltanto per me con i piatti sostitutivi. Ho apprezzato tantissimo il gesto. Tornerò.
Il menu rilegato, il menu pieghevole.
Molti menu sono rilegati come i più bei libri, con copertine in tela o pelle, impressioni in oro, a rilievo, incise. Sono edizioni di design, come quello di Bommarè. Per contro, al VI.OR di Villa Ormaneto nel veronese, ecco un menu breakfast pieghevole. Bella idea, agile. Impeccabile.
Il menu del lusso gentile.
Al Grand Hotel Alassio tutta l’esperienza ospitale rientra nel concetto di lusso gentile – che è educato, non urlato, non ostentato, contemporaneo ma con richiami vintage. Lo rispecchiano i menu di sala e degli eventi speciali e il magazine, attraverso il fil rouge di raffinate illustrazioni.
Il menu stampato su stoffa. O edibile.
Poco più di un fazzolettino o di un tovagliolino di stoffa. Il menu stampato su tessuto o su una sfoglia sottile si presta, per natura, valore e delicatezza, a un unicum come un matrimonio o un evento formale. Sarà trattato come un souvenir. La sua matericità e follia resterà memorabile.
Il menu con una narrazione.
Il menu è una lista? Il menu è una gara a chi inventa il titolo di piatto più stravagante? Non da Osteria Billis a Tortona, rivoluzionaria e contemporanea e abbraccia la scelta insolita di un menu con una piccola narrazione per ogni piatto. Bravi anche nel dire “La tradizione è questa”.
Il menu che è anche un altro oggetto.
Il sottobicchiere-menu, una scelta pop al confine con il gadget. O il menu-scatola, come da Iris a Verona o da I Tre Gobbi a Bergamo. Si sa che tutto ciò che esce da una scatolina – non solo gli anelli di fidanzamento – stimola aspettative di qualcosa di prezioso.
Il menu nel libro di poesie.
Sul tavolo c’è un libro di poesie. Uno per ogni commensale. E il menu? Il cliente lo trova infilato tra le pagine, tipo segnalibro, così sceglie e ordina. Nell’attesa legge qualcosa di bello, poi gusterà qualcosa di buono. Idea del milanese Mater Bistrot appena aperto. Tutto da copiare.
Il menu declamato.
Un menu scandito con chiarezza e con le giuste pause, non smitragliato come l’elenco del telefono. Nel menu a voce, immateriale, si riconosce l’usanza di quando il patron, l’oste o il maȋtre declamava al cliente le proposte. Maestro di questo, il grande Pino Masuelli dell’omonima trattoria milanese o la sala in locali storici come il Cibreo a Firenze.
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ph. Daniela Ferrando. In copertina Osteria Billis a Tortona. Si ringrazia il gruppo Facebook di Giulio Fano.
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