E la chiamano estate.
Riflessioni su una stagione che non sembra finire mai. Fra opportunità e insidie, ci stiamo preparando a una stagione estiva che ogni anno si prospetta più lunga. Ma le destinazioni balneari e gli operatori turistici sono pronti?
La bella stagione comincia sempre prima e finisce sempre più tardi. Eppure per le strutture turistiche e le destinazioni balneari non sembra cambiato proprio niente rispetto a vent’anni fa. Si apre a Pasqua, si chiude a settembre. Ma perché?
Come ogni anno, è tempo di previsioni per la stagione che verrà.
Cosa possiamo aspettarci? Cosa cambierà nel turismo balneare? La risposta è molto semplice: poco!
Anche se la stagione passata ha visto un rimbalzo della domanda turistica che per tre anni era stata compressa e repressa, non è possibile prevedere per il prossimo anno miglioramenti sostanziali delle performance economiche delle imprese turistiche.
I problemi del 2022 sono gli stessi problemi che dovremo affrontare anche nel 2023.
Guerra delle tariffe con prezzi stracciati, ricavi medi sempre più bassi, difficoltà a intercettare nuova domanda, carenza drammatica di risorse umane qualificate e non, alberghi chiusi per irregolarità o mancanza di requisiti minimi, stagione turistica sempre più breve, fatturato stagnante e utili in calo progressivo, colonie abbandonate, alberghi chiusi e degradati, spiagge senza servizi già da settembre e aeroporto che non decolla. Tutti questi problemi si traducono in una totale assenza di investimenti nel settore.
Raramente si registrano progetti significativi di riqualificazione e di nuove costruzioni. A questa apatia e indolenza imprenditoriale che dura da molti anni, si affianca una situazione di progressivo abbassamento della qualità di tutte le aziende turistiche in generale: dagli alberghi agli stabilimenti balneari, dai bar alle gelaterie, dai ristoranti ai locali, dai negozi alle discoteche. A questo si aggiungono le chiusure, anno dopo anno, di strutture totalmente fuori mercato.
Ma la domanda che mi pongo e alla quale non riesco a dare risposta è: come mai tante destinazioni hanno perso completamente quella capacità di essere innovative e capaci di fare scuola a livello internazionale? Come mai si è del tutto persa la capacità di inventare nuove formule di servizi turistici? Credo ci siano diverse ragioni. In primis la mancanza di ricambio generazionale nelle imprese: i figli dei pionieri degli anni sessanta hanno preferito prendere altre strade professionali. Il modello di gestione familiare che è andato in crisi, la fine del sommerso e del lavoro sottopagato, la rendita immobiliare dagli alberghi senza fare investimenti di riqualificazione, gestioni improvvisate e senza cultura dell’ospitalità, le strutture ricettive troppo piccole per poter competere sul mercato diventato molto più competitivo, i costi di gestione delle imprese che hanno eroso progressivamente gli utili delle aziende, la mancanza di visione delle associazioni delle imprese turistiche negli ultimi vent’anni che non hanno saputo governare il cambiamento.
Se si facesse una indagine seria sui bilanci economici delle strutture ricettive ci si renderebbe conto in modo evidente che moltissime imprese si limitano a sopravvivere e non stanno più producendo utili.
La cosa più scoraggiante è che, parlandone con tanti imprenditori del settore, sembra quasi che il problema non esista. Troppe volte, affrontando queste tematiche, mi sento rispondere che il turismo balneare è questo, che va bene così, che i nostri turisti vogliono questo, che si è sempre fatto così, che oltre il balneare non c’è appeal, che tanto da metà settembre non viene nessuno etc etc.
È prima di tutto necessario riconquistare una leadership culturale, una nuova visione di sviluppo sostenibile capace di intercettare la nuova domanda turistica e tornare a investire per rilanciare tutto il sistema turistico italiano.
Altrimenti, parafrasando Lucio Dalla, la stagione che sta arrivando tra un anno passerà. E questa sarà la sola novità.
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