
Fine dining. Via dalla pazza folla.
Dove si andrà a mangiare il sabato sera? Non è un caso isolato. I ristoranti di fine dining chiudono durante il weekend a favore della qualità della vita degli chef patron e dei loro collaboratori. Nuove opportunità per gli hotel?
È nell’ABC del giornalismo, onde agevolare la comprensione di cosa fa notizia: la storiellina del cane che morde l’uomo non fa notizia, e però l’uomo che morde il cane, questa sì che è una notizia! Mutatis mutandis, siamo all’incirca in questa situazione. Vediamo cosa non fa notizia: ristoranti affollati, richieste di prenotazione, che sovente si è costretti a rifiutare, per la cena del sabato e per il pranzo della domenica.

Si sa, è così da sempre, sia in scenario fine dining sia in ambito di trattoria di vicinato. Quindi, diciamolo bene, non costituisce notizia il pienone del sabato a cena e della domenica a pranzo nei ristoranti. Quindi, è fatto acclarato che durante il fine settimana, segnatamente il sabato a cena e la domenica a pranzo, la domanda eccede di gran lunga l’offerta, soprattutto per quella tipologia di ristoranti che erogano fine dining, per i quali “far girare il tavolo” è improponibile
E cosa invece al momento fa notizia?
Fa notizia Perbellini, tristellato a Verona, che chiude dal sabato sera a tutto il lunedì. E fa notizia, questa davvero molto intrigante, che il “caso Perbellini” non costituisce stramberia isolata, tutt’altro. C’è un ristorante a Rho in provincia di Milano, La Cucina: non il solito ristorante dello chef Gaetano Marinaccio, che dal primo giugno fino al 14 settembre rimarrà chiuso il sabato sera e tutta la domenica.


Insomma, sta accadendo che il driver del giorno di chiusura settimanale del ristorante, che ricordiamo essere facoltativo e non obbligatorio, non è più dato dall’analisi del totale scontrinato giornaliero, bensì il driver diviene coacervo di considerazioni, la prima delle quali è riflessione seria sulla qualità della vita dello chef patron e dei suoi collaboratori e la seconda delle quali, ben distanziata, è l’insinuarsi del dubbio che il servizio erogato nei giorni del “pienone” non può avere lo standing al quale il cliente di metà settimana è abituato e pertanto meglio non mettersi nelle condizioni di disattendere le legittime attese della clientela migliore. Questo secondo aspetto è presente soprattutto nel fine dining. Va bene così, qualità della vita: la propria, quella della famiglia, quella dei collaboratori, quella delle famiglie dei collaboratori. E allora, se così sarà, e così sembra proprio che cominci a essere, con il caso Perbellini che produce il cosiddetto effetto valanga, cosa accadrà nel termine medio?
Assisteremo a un interessante gioco delle parti, un’intrigante dinamica dei ruoli, gli sconvolgimenti degli uni a determinare i mutamenti degli altri.
Cosa fanno i clienti? Meal kit e hotel.
Giocoforza perdono l’abitudine di andare al ristorante nei fine settimana. Probabilmente, di fronte al fatto compiuto dei ristoranti chiusi dovranno abituarsi a… a cosa?! A non andare più a cena fuori e quindi a cenare a casa. Ma era così bello ritrovarsi con gli amici al ristorante, era così bello non dover cucinare!

Niente paura. Può configurarsi lo scenario seguente: resto a casa, invito gli amici e però… non cucino, o quasi. Non cucino (o quasi) perché fruisco del cosiddetto meal kit. Il meal kit significa approntare la cena utilizzando ingredienti essenziali di provenienza esterna. Individuo cosa voglio cenare, stabilisco le portate ed esse mi pervengono a casa in orario stabilito, quasi pronte. Ci sono le istruzioni per l’uso e c’è l’help telefonico. In genere, giusto per dare l’idea, si tratta di aggiungere il filino d’olio in entrata (oppure in uscita) forno. Ecco, che sia in entrata o in uscita me lo dice il set di istruzioni; ma nel meal kit l’olio non c’è; però l’olio ce l’ho io a casa ed è anche quello evo!
Ma un dubbio imperioso ci assale: e chi “produce e vende” il meal kit? Sono marziani e quindi ci sono costi e tempi di trasporto, da Marte a casa, che nei fatti mi rendono impraticabile questa velleitaria soluzione? No, a guardare bene non sono marziani. Anzi, sono persone che conosco bene; di costoro mi fido, so che sono affidabili e molto bravi. E per forza, sono i componenti della brigata di cucina di quel ristorante che da poco tempo ha deciso di chiudere nei fine settimana. Chiudono nei fine settimana e pertanto si sono attrezzati con offering specifico del venerdì: un subset del menu di sala, il cui approvvigionamento, mediante take away oppure mediante delivery, ho cura che avvenga prima della chiusura del fine settimana e quindi, in genere, proprio il venerdì. Il vino lo portano gli ospiti e comunque abbiamo sempre la cantina ben fornita in casa e lo stesso dicasi per i liquori del dopocena. Ma quanto è bello, cominceremo a dire, cenare il sabato sera in casa propria oppure in casa di amici (tanto si fa a rotazione!) fruendo del servizio di meal kit. Ci si sente tra gli happy few che godono del loro essere far from the madding crowd, via dalla pazza folla.


La chiusura nei fine settimana dei ristoranti fine dining genera anche un altro effetto: la rinnovata abitudine di fruire del ristorante annesso all’albergo. I ristoranti d’albergo è proprio raro che effettuino chiusura. A questo punto gli scenari probabili sono due. La cena del sabato si dilata, l’esperienza si arricchisce diventando cena nel ristorante d’albergo e conseguente pernottamento, con prima colazione dell’indomani mattina, e allora ci si sta recando in luogo a distanza ragguardevole. La cena del sabato oppure il sunday lunch si consuma nel ristorante dell’albergo di città. Quell’hotel dove non si va quasi mai proprio perché… dormo a casa mia!
Insomma, per gli albergatori si prospetta una nuova opportunità di incrementare il loro business modellando i loro servizi in funzione di queste tendenze appena emergenti.
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In apertura, gli interni di La Cucina: non il solito ristorante di Gaetano Marinaccio e Nadia Petronio a Rho (Milano), ph. Riccardo Mordenti.
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