
La rivincita degli hotel 3 stelle.
Destinati a faticosissimi upgrade, a darsi una lucidata o a scomparire. Che fine farà lo zoccolo duro dell’ospitalità italiana? I 3 stelle sono più di 15.000 realtà in Italia, rappresentano un’opportunità per rendere il turismo sempre più inclusivo e accessibile.
Anche per parlare degli hotel 3 stelle si parte dai dati, se ne fa attenta lettura e ne conseguono spunti di riflessione. La fonte è autorevole: il rapporto Oxfam presentato in apertura della riunione annuale del World Economic Forum tenutasi a Davos lo scorso gennaio. Dati poco piacevoli per come illustrano la situazione sociale ed economica italiana, con l’immagine della forbice che si divarica: distanze che si accentuano tra ricchi e poveri. Difatti, la ricchezza dei miliardari è in forte crescita e le condizioni dei poveri sono in deciso peggioramento. Approssimando con l’elisione dei decimali, notiamo che la quota del 10% più abbiente degli italiani, in 14 anni è passata dal 53% della ricchezza nazionale al 60%. La ricchezza dei 71 miliardari italiani nel 2024 è aumentata di circa 61 miliardi di euro, raggiungendo i 273 miliardi circa.
Da stime Istat, i poveri sono circa 6 milioni.
I lavoratori poveri in Italia sono almeno 1 milione e 255 mila, di cui 618 mila donne e 637 mila uomini. Attenzione, secondo indicazioni Istat, per lavoratore povero si intende colui il quale percepisce una paga oraria inferiore ai 9 euro. Rispetto all’ultimo report, quello relativo al 2018, la percentuale del lavoro povero cresce di circa un punto: dal 10% all’11%. Tra i giovani under 29 i lavoratori con salario basso sono ora il 24% circa, quasi 1 su 4.
Altro dato preoccupante, la classe media è sempre meno “media”, nel senso che è sempre più probabile lo scivolamento verso la povertà o comunque è per costoro sempre più arduo mantenere lo status attuale. Basti solo pensare al continuo drenaggio delle retribuzioni dei dipendenti pubblici e privati, a fronte di un’inflazione che in periodi recenti ha sfiorato la doppia cifra.

A fronte di tutto ciò, la prima domanda che un operatore dell’hospitality dovrebbe porsi è: “stando così le cose, chi sono i miei clienti potenziali, qual è il mio target?”.
Qualche limatura iniziale: albergatore qui inteso né top manager della catena multinazionale, né proprietario della pensione Mariuccia con due stelle e mezza, né l’operatore della ricettività extralberghiera. Insomma, alla fin fine parliamo del mare magnum degli alberghi la cui classificazione ufficiale è 3 stelle e 4 stelle. Target da intendersi, in questo contesto, riferito al turismo interno.
Ciò premesso, la cosa più ovvia e razionale da fare è procedere per sottrazione. Quei 71 miliardari, che dite, li togliamo, vero? Scoprendo che poi parliamo di migliaia di persone, mica letteralmente 71.
Siamo al “beef” della domanda e, considerazione non da poco, anche al “beef” dell’offerta. Gergalmente si usa “beef” per dire dove sta la carne (in Toscana si direbbe la “ciccia”), insomma dove sta la polpa in contrasto con il “bone” con l’osso. Ecco, il “beef” della domanda è costituito da quanti hanno spending la linea di confine tra le due e le tre cifre per un pernottamento in doppia (anche in doppia uso singola). Insomma, detta diversamente, una spesa di albergo che complessivamente per un totale di tre notti, considerata anche la prima colazione del mattino, non mi faccia esondare il limite massimo dei 320 / 350 euro.
È possibile? Certo che è possibile!
E che forse la risposta perentoria cela un sorriso beffardo che accompagna la seguente affermazione… andate in ostello, oppure andate in campeggio e che Dio ve la mandi buona e senza vento! No, il suddetto budget è coerente (il “beef” dell’offerta) con la maggioranza degli alberghi presenti nel nostro Paese: i 3 stelle (15.000, all’incirca). Eppure, al momento questa categoria non riscuote il massimo dell’appealing da parte di una clientela che ha le potenzialità per esprimere numeri ben più grandi. Dove ricerchiamo le cause di questo carente appealing?
Partiamo dal tasto più dolente e più “taciuto”: Booking.
Chi è il signor Booking? Il signor Booking è una persona abile, lungimirante e scaltra. E diffusamente e monotematicamente del fenomeno Booking parleremo a breve. Detta proprio in estrema sintesi (intelligenti pauca): Booking genera asimmetria tra quanto il cliente ha speso per andare in quel 3 stelle e quando al titolare di quel 3 stelle è entrato in cassa da quel cliente. La forbice è circa il 20%.
Il cliente ha una qualità attesa coerente alla sua spesa. E il cliente ha speso 100, non ha speso 80! Il titolare del 3 stelle (a cui è entrato 80) deve erogare servizi in linea con la spesa del cliente, quindi con 100, non con il suo incoming di 80!

Il che significa lavorare prevalentemente sugli asset intangibili e sulle soft skills dello staff, sovente costituito dai componenti della famiglia.
Asset intangibili: la cortesia schietta, a partire da un sorriso che non sia di circostanza al check-in. Immediatamente un drink di conforto, che può essere anche letteralmente un bicchiere di acqua se ci si accorge che il cliente è stanco, teso, assetato.
La camera, linda by default, con un biglietto (anche un cioccolatino?!) di welcome con evidenza del nome del cliente (è un welcome one-to-one, non è una circolare).
Chiamarlo sempre per nome e man mano, facendo fine tuning, prendere nota, non solo mentalmente, di preferenze e abitudini. Ah, ma è storia vecchia: è la customer satisfaction. Oramai è passata di moda! Vero, ma è passata di moda perché si è oltre e oggi, in accentuata turbolenza competitiva, non è sufficiente soddisfare i bisogni. Oggi siamo alla customer delight. Oggi il cliente va deliziato, esaudendo i suoi desideri (orizzonte ben diverso dei bisogni) talvolta inespressi da individuare tempestivamente.
Tutto qui? Di situazioni potremmo elencarne ancora tante, ma ci accorgeremmo che quasi tutte impattano sugli asset intangibili, quelli che “né si comprano e né si vendono” o ce li hai o non ce li hai!
Insomma, caro 3 stelle il riposizionamento atto a renderti nuovamente attrattivo te lo giochi in prevalenza con gli asset intangibili. E però, suvvia, non che investimenti tangibili non ti abbisognino. I fondamentali, e non è cosa da poco, sono tre: la formazione dei collaboratori, le modalità di recruiting dei neoassunti, la dotazione tecnologica sia gestionale sia di processo, l’una atta a incrementare i ricavi e l’altra atta a contenere i costi.
Non è che si può fare. Si deve fare!
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In apertura, ph. Freepik.
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