Madame Parking o signora del colore.

Unconventional, divertente, mai banale, non finisce mai di stupirci con i suoi progetti, dal piccolo al grande, dall’hospitality al residenziale e soprattutto ai non-luogo ai quali deve il suo soprannome. A tu per tu con Teresa Sapey.

Ph. Asier Rua.

“A come architettura, arte, artista, amore che è quello che ci mettiamo nel progettare”, ti ho sentita dire in un’intervista. Credo che in questa similitudine ci sia tutta Teresa. Probabilmente senza Teresa artista non ci sarebbe neppure Teresa architetto. Quanto ti ritrovi in questa affermazione?

Mi rispecchio molto perché sono affermazioni che non hanno chiaroscuri, ma sono o chiare o scure o bianche o nere. E forse anch’io sono un po’ così anche se il tempo ha un po’ smussato gli angoli del mio carattere. Posso aggiungere che c’è anche una terza Teresa: la vispa Teresa, che scrisse Trilussa in omaggio a mia zia, della quale porto il nome. Ecco, io sono un po’ come una farfalla che vola dall’arte all’architettura, all’amore, al sentimento. Dunque creo con i sentimenti. Sono stata molto fortunata perché volevo essere artista, ho studiato architettura e alla fine sono riuscita a trovare la mia identità nel creare con l’emozione e con i sentimenti. Questo connubio tra arte, architettura, artista, creatore, con grande amore.

La VIP Lounge di Arco a Madrid. Ph. Asier Rua.

Il colore che sempre usi nei tuoi progetti non è mai fine a sé stesso ma diventa comunicazione. Quando ti sei avvicinata al colore e hai capito che sarebbe diventato la tua cifra stilistica?

Sono sempre stata molto attratta dal colore anche dal colore come maquillage, come cosmetica. E mi ricordo perfettamente che a volte non vedevo l’ora che mia madre uscisse per andare a curiosare tra i suoi vestiti e i suoi trucchi. Son sempre stata molto attratta da questo. Strano perché non sono mai stata particolarmente femminile e non mi sono mai truccata molto ma il trucco come pelle, come superficie aggiunta, mi ha sempre affascinato. Ricordo anche una volta che feci un disastro in uno degli stabilimenti di mio padre, dove avevo trovato degli smalti colorati e mi ero messa a dipingere mischiandoli tutti. Il colore mi ha sempre attratto. Con gli anni ho capito che ci sono molti tipi di colore, non solo a livello cromatico: ci sono i colori come trucco come per esempio fa Andy Warhol quando cambia i colori di Marlyn; poi ci sono i colori come materia, con cui io magari mi rispecchio di più e sui cui abbiamo condotto molta ricerca in studio, ovvero il colore come materiale e dunque se il tavolo lo vuoi giallo avrà una forma, ma se lo vuoi blu allora ti devo cambiare anche la forma.

Ci sono molti tipi di colore: c’è il colore usato come trucco e il colore materia.

Colore e ancora colore in uno dei tuoi più recenti progetti, la VIP Lounge di Arco a Madrid ma anche nella collezione di rubinetteria per Galindo. Dal macro al micro, quanto è interscambiabile la tua vena creativa?

Lavoriamo a tutte le scale, dalla micro alla macro, dall’effimero al permanente. Siamo flessibili e ci adattiamo. Creiamo da luci di Natale a case private a nuovi concetti di showroom ad alberghi. Molte volte mi piace definirci come laboratorio creativo!

Room Mate Pau | Barcellona. Ph. Asier Rua.

Parliamo della catena Room Mate, tuo il Pau a Barcellona e il Bruno a Rotterdam. Qual è il rapporto con il committente e quanto è intervenuto nel progetto?

Lavoriamo da oltre dieci anni con Room Mate, siamo uno dei loro studi di progettazione. E sono tra i nostri clienti preferiti! Hanno una identità molto definita e dunque lavorare in equipe con loro è sempre molto stimolante per noi! Forse è uno dei clienti con cui usiamo più colore e possiamo creare grandi teatralità! Dietro un buon progetto, c’è sempre un cliente migliore ed è proprio il caso di queste collaborazioni!

Due hotel della stessa catena ma ben diversi tra loro. Parliamo di genius loci: l’ispirazione ti nasce dal contesto nel quale ti trovi a operare?

Siamo uno studio specializzato nel produrre progetti su misura per i nostri clienti. Dunque ogni progetto parte da un’analisi dello spazio esistente, del contesto in cui si interviene, del brand del cliente e degli obiettivi che vogliono ottenere. Dunque ogni progetto viene fatto su misura!

Aree comuni.

Geniale l’intuizione della “foresta di ghiaccio” nel Bruno; spiegaci il perché di un’idea.

Questo giardino occupa uno spazio interno, quasi una corte, che si venne a creare perché avevamo svuotato la parte centrale dell’edificio affinché le camere ‘meno fortunate’ avessero anch’esse luce naturale e finestre rivolte su un girardino. Un’idea funzionale anche per il marketing e la promozione delle camere.

Il frozen garden del Bruno.

Un giorno ero in montagna che camminavo nella neve e stavo riflettendo su cosa fare in questa corte. Ispirata dalla neve, dal freddo, e pensando a Rotterdam, anch’essa una città nordica e fredda, decisi che un frozen garden sarebbe stato ideale. Lo chiamammo proprio così, cioè il giardino gelato, perché appunto riprende i colori freddi.. Ha avuto molto successo sia come spazio teatrale, un po’ ‘instagram’, sia come operatività dato che, grazie alle soluzioni di arredamento movibile e flessibile, viene affittato per eventi anche da grandi gruppi imprenditoriali. È un paesaggio immaginario che crea momenti indimenticabili.

L’hotel più piccolo del mondo. Ph. German Saiz.

Mi ha sempre incuriosito L’hotel più piccolo del mondo che hai progettato per Room Mate: 15 mq di accoglienza e funzionalità. Raccontami il backstage del progetto.

Sì, abbiamo accettato questa sfida e creato l’hotel più piccolo del mondo in un container di soli 15 mq. È nato per sfidare l’idea erronea che gli spazi piccoli non possano essere ben sfruttati. Era tutto pensato con cassetti scorrevoli in modo da avere un volume pulito nel quale scoprire le diverse funzioni aprendo questi elementi. Fecero anche un concorso e delle persone vinsero e pernottarono lì: dimostrando che “L’hotel più piccolo del mondo” era perfettamente utilizzabile!  

Hai parlato dell’NHOW di Marsiglia come uno dei progetti più difficili che ti è capitato di affrontare [“con tutti quei pilastri”] ma anche uno di quelli diventati più instagrammabili e iconici. Raccontacelo.

Sì, è stata un’altra sfida. Un progetto in uno spazio già esistente con criticità: pochissima luce naturale, forme strane di passaggio, spazio molto scuro, soffitti bassi e una grande pilastrata che sembrava un esercito di soldati con dimensioni ciclopiche, senza possibilità di eliminarla né ridurla.

NHOW | Marsiglia. Ph. Mads Mogensen.

Quando incontriamo questi spazi la nostra regola, generalmente, è quella di trarre un vantaggio e una virtù partendo da un difetto. E allora, al posto di nascondere questo esercito di pilastri, abbiamo deciso di metterlo in evidenza, di renderlo bello, interessante, ponendolo al centro dell’attenzione.  E dunque da una parte toccano il pavimento come gocce d’acqua e dall’altra si trovano delle gambe di gente che nuota quasi come fossimo sott’acqua anche noi.

In aggiunta, per risolvere la lunghezza di uno degli spazi, abbiamo creato un tunnel un po’ a effetto caleidoscopio dove, grazie al ritmo, la divisione, i colori, si perde la sensazione di lunghezza del corridoio rendendo l’esperienza più piacevole e trasformando il corridoio non solo in uno spazio di transito ma anche in una zona in cui sedersi, leggere, lavorare. Di nuovo: un viaggio, un percorso ricco di esperienze che nasce da un pensiero consapevole.

Parcheggio sotterraneo Hotel Puerta de America | Madrid.

Sarai probabilmente stanca dell’argomento ma, dal momento che sei Madame Parking, non posso esimermi.  Hai trasformato non-luoghi come i parcheggi in momenti di cultura. Qual è il tuo approccio al tema?

Amo essere chiamata Madame Parking perché crea un po’ un legame, una dualità, tra madame-donna e parking: spazio generalmente considerato più duro, in un certo senso più maschile. Quindi mi lusinga molto questo soprannome: mi dà carica, mi dà grinta. Amo molto i ‘non-luoghi’ come diceva Marc Augé e la sfida di poter attivarli attraverso l’uso del colore, l’architettura, la creatività, l’estetica per migliorare la qualità dello spazio per i suoi utenti. Un tema che non mi stancherà mai: creare luoghi della contemporaneità con un’anima propria e viva. Noi abbiamo cercato di fare questo nei nostri interventi urbani: corridoi di uscite di emergenza, ponti, passarelle e vari parcheggi (Hotel Puerta de America e Chueca An-dante, tra gli altri).

Un tema che non mi stancherà mai: creare luoghi della contemporaneità con un’anima propria e viva.

Che cosa è per te il lusso?

Il lusso secondo me è sempre stato definito in base al tempo. Ma oggigiorno forse è anche l’essere in grado di conoscere i propri limiti e conoscersi e stare con le persone che uno ama. Il lusso forse, in sostanza, è qualità. E la definizione di qualità varia da persona a persona. Noi attraverso il nostro lavoro cerchiamo di creare esperienze di qualità per gli utenti degli spazi.