Gli “intoppi” dell’AI.
Ma può l’AI avere degli “intoppi”? Scopriamoli e anche come superarli. Nasce la tecnologia che mette in comunicazione i sistemi alberghieri, trasformando dati e richieste in azioni concrete. Non più chatbot che rispondono, ma veri e propri “agenti digitali” capaci di agire in autonomia.
È nata da un gruppo di albergatori per rispondere alle esigenze concrete del settore e promette di rivoluzionare il modo in cui gli hotel operano. La nuova tecnologia, basata sull’intelligenza artificiale, è stata presentata in una recente puntata del podcast per albergatori Matt Talks, condotto da Matt Welle, che ha dialogato con un imprenditore e sviluppatore specializzato in soluzioni AI per l’hospitality. L’obiettivo? Risolvere uno dei problemi più diffusi nella gestione alberghiera: la scarsa comunicazione tra i diversi sistemi digitali che regolano le attività quotidiane di una struttura.
Il sistema ideato punta a ottimizzare le prestazioni aziendali e migliorare l’esperienza degli ospiti. Ma prima di entrare nel merito delle novità introdotte, è utile soffermarsi su quegli “intoppi” che l’intelligenza artificiale, pur nella sua rivoluzione, non è ancora riuscita a superare.

Hôtellerie e AI: quali sono (ancora) i punti critici.
Il ruolo dell’AI nell’ospitalità sta cambiando. Al giorno d’oggi, ‘accontentarsi’ di chatbot che rispondono alle domande o a un singolo bisogno non basta più: servono flussi di lavoro intelligenti che automatizzano, integrano e migliorano l’esperienza degli ospiti senza rinunciare al tocco umano.
Facciamo un esempio concreto. Ogni struttura ha la propria versione della ‘checklist’. Un foglio, un file Excel o una lista di attività che raccolgono i compiti quotidiani non gestiti dai sistemi digitali: aggiungere un letto extra, sostituire un asciugamano, e via dicendo. La sfida, in un simile contesto, è la frammentazione. Un sistema di gestione della proprietà (PMS) gestisce le prenotazioni; uno strumento per le pulizie tiene traccia dello stato delle camere; un sistema POS registra le transazioni del ristorante. Questi sistemi, però, non sempre comunicano tra loro. Il risultato? Lavori ripetitivi, lacune nella comunicazione e risposte più lente agli ospiti.
“Un problema che noi addetti ai lavori conosciamo da anni – ha spiegato Welle -. È il motivo per cui abbiamo costruito un’API (Application Programming Interface, una sorta di ‘ponte’ che permette a due software diversi di comunicare e scambiarsi dati tra loro) aperta fin dall’inizio. Quando gli hotel possono connettere liberamente i propri strumenti, l’innovazione accelera. L’AI ora si basa su quelle stesse fondamenta. Servono piattaforme che sfruttino i modelli linguistici per tradurre richieste umane – come la richiesta di un asciugamano – in azioni a livello di sistema. Ciò significa meno passaggi manuali, risoluzioni più rapide e ospiti più soddisfatti”.
Dal chatbot statico al modello agentico.
Nell’ospitalità, finora, l’AI si è concentrata soprattutto sulla comunicazione con gli ospiti: rispondere alle FAQ, gestire prenotazioni di base o check-in. Alla nuova generazione di strumenti AI, invece, viene chiesto di andare molto più a fondo. Anziché agire come chatbot statici si comportano come agenti che comprendono l’intento, accedono ai dati e agiscono di conseguenza. Per esempio, quando un ospite chiede un asciugamano, un agente può identificare chi sta parlando, confermare la camera, creare una richiesta per le pulizie nel sistema appropriato e aggiornare l’ospite in tempo reale. La differenza è il contesto: un chatbot risponde in base ai modelli di testo, un agente AI comprende chi sta chiedendo, quali sistemi sono coinvolti e cosa fare dopo. Collega voce, chat e dati operativi tramite API, eseguendo attività su più sistemi contemporaneamente.
Questa evoluzione, come emerso durante il talk, rappresenterebbe la prossima fase dell’automazione: una fase che unisce l’intelligenza artificiale ai flussi di lavoro reali dell’ospitalità. Gli albergatori, insomma, devono bilanciare automazione, controllo e comunicazione dei vari sistemi di AI tra loro attraverso un’API. Un’AI senza API (e senza lo strato semantico costruito intorno a esse) semplicemente non funziona.

E l’aspetto umano?
Uno dei timori più diffusi concerne proprio la progressiva perdita dell’aspetto umano, specie negli ambienti di lusso o boutique. Eppure, i dati raccontano un’altra storia. I clienti di hotel che usufruiscono di strumenti API, infatti, dichiarano punteggi medi di soddisfazione più elevati per le interazioni gestite dall’AI rispetto a quelle gestite da persone.
Ciò suggerisce che gli ospiti apprezzano risposte rapide e accurate, anche quando provengono da una macchina. Quando le richieste ripetitive vengono gestite automaticamente, il personale dell’hotel può concentrarsi sui momenti che richiedono davvero empatia e creatività. Questo cambiamento, come emerso anche durante il talk, non riduce l’ospitalità: la raffina. L’AI si occupa del “rumore di fondo”, così che le persone possano offrire un servizio autentico, umano.
Una nuova era di ospitalità connessa.
In tutto ciò, c’è un fattore che non bisogna mai trascurare: l’AI non sostituirà mai l’ospitalità, che continuerà a richiedere l’approccio e il calore umano come base del lavoro. Ne ridefinirà, però, il funzionamento. Gli hotel di maggior successo saranno quelli che sapranno abbracciare questa tecnologia come un facilitatore, non una minaccia. Si tratta di usare l’AI per prendere decisioni migliori, rendere le operazioni più fluide e offrire esperienze più umane. “Crediamo che il futuro dell’ospitalità risieda nell’apertura: API aperte, ecosistemi aperti, mentalità aperta – ha concluso il conduttore del podcast -. Perché, quando i dati fluiscono liberamente e i sistemi comunicano tra loro, l’innovazione prospera. E quando la tecnologia si occupa del ripetitivo, le persone possono concentrarsi sull’obiettivo che l’ospitalità ha sempre perseguito: far sentire gli ospiti i benvenuti”.
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In apertura: courtesy Pixabay ph. Jonson_G
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